Spike Lee, il più famoso regista afroamericano, da anni integrato nella Hollywood mainstream, avendo realizzato film di forte richiamo commerciale come Inside Man e Miracolo a Sant’Anna, non ha affatto esaurito la sua vena polemica.

Due giorni fa, il cineasta si trovava al Sundance Film Festival, per la prima del suo ultimo film, Red Hook Summer – una sorta di seguito ideale e tematico del suo capolavoro del 1989 Fa’ la cosa giusta – che segna un ritorno al cinema indipendente, legato alle sue origini etniche e culturali.

In risposta a una domanda del comico Chris Rock, che gli aveva chiesto se il film sarebbe venuto meglio se realizzato da uno studio, Lee ha dichiarato che gli studios non sanno nulla di cosa un ragazzo e una ragazza di colore di tredici anni farebbero a Red Hook, quartiere popolare di Brooklyn.

Non sanno nulla della gente di colore. Non avrei accettato un solo suggerimento dagli studios” ha sentenziato il regista.

Come un fiume in piena, Lee ha poi polemizzato contro la scarsa presenza di persone di colore nello Utah (dove si svolge la rassegna), ma ha soprattutto scatenato la sua invettiva contro Hollywood, in particolare contro la Universal, colpevole di non aver accettato di finanziare il seguito di Inside Man.

Say It Loud, I’m Black and I’m Proud“, sembra quindi suggerire il cinquantaquattrenne Lee, parafrasando James Brown e la sua canzone-simbolo dell’orgoglio nero, e dimostrando di non essere affatto il borghese riconciliato, dalla vena artistica un po’ appannata, che alcuni temevano fosse diventato da quando Obama è salito al potere e i conflitti razziali, negli Stati Uniti, hanno assunto forme meno evidenti e più legate al fattore economico.

Fonte: The Guardian

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