Non ci volevamo credere, speravamo si trattasse dell’ennesima fake news, invece no: Stan Lee è morto lunedì scorso, all’età di 95 anni. Il leggendario fondatore della Marvel Comics, creatore dei più famosi supereroi a fumetti, quegli stessi personaggi che ora dominano gli schermi cinematografici, ci aveva lasciati. Pensavamo fosse eterno, invece purtroppo sbagliavamo. Ormai era diventato, nel nostro immaginario, un mito, al pari dei personaggi che aveva creato. Una costante immune al trascorrere del tempo. Era una via di mezzo fra un nonno e un mago, una figura anziana saggia, sorridente e rassicurante in cui rifugiarsi quando si voleva sognare e sperare che le cose, prima o poi, sarebbero andate meglio, anche per chi non aveva successo. Soprattutto per loro. Sapere che non c’è più è un po’ come se ci avessero detto che è morto Babbo Natale.

Stan Lee

Nato a New York il 28 dicembre 1922 con il nome di Stanley Lieber, Stan Lee esordì come editor alla Timely Comics, la futura Marvel, a soli 17 anni, e trascorse la prima parte della sua carriera scrivendo storie brevi di vari generi: guerra, fantascienza, horror. Fu nei primi anni ’60 che, nel rilancio della casa editrice di cui divenne il Presidente e lo sceneggiatore principale, si dedicò a tempo pieno ai supereroi, ai quali diede una nuova caratterizzazione. A lui si deve la sostanziale umanizzazione di questo tipo di personaggi, non più visti come una sorta di semidei tutti d’un pezzo, ma come persone reali, dalla vita sofferta, non immuni ai problemi di salute, economici e sentimentali, e spesso incapaci di gestire i poteri straordinari di cui, quasi sempre fortuitamente, possono disporre. «Un personaggio che non fa mai errori e si comporta sempre in modo impeccabile non è affatto interessante», dichiarò infatti in proposito. Secondo una definizione dell’epoca, i suoi sono supereroi con superproblemi, le cui identità segrete non sono semplici travestimenti per camuffarsi tra i civili – come per i loro predecessori della DC Comics Superman o Wonder Woman – ma ne rappresentano la natura originale, con tutta la fragilità di persone comuni. La base da cui partire al momento in cui acquisiscono quei poteri che permettono loro di superare i limiti e aiutare gli altri. Qualche volta, di salvare il mondo. Quasi sempre indossando un costume, spesso nascondendosi dietro a una maschera per proteggere i loro cari, e non sempre ricevendo in cambio il riconoscimento che meritano.

A Stan Lee si deve la creazione di personaggi straordinari. In coppia con il grandissimo disegnatore Jack Kirby diede vita ai Fantastic Four (1961), cui seguirono Hulk (1962), Thor (1962) e Iron Man (1963) – che formeranno il primo nucleo del supergruppo degli Avengers (1963) – e gli X-Men (1963). Con i disegni di Steve Ditko creò Spider-Man (1962), forse il personaggio Marvel di maggior successo di sempre, e Doctor Strange (1963), mentre con Bill Everett inventò Daredevil (1964). Assieme a Kirby recuperò anche personaggi della Timely risalenti a una ventina d’anni prima, in particolare l’eroe propagandistico Captain America, reintrodotto nel 1964 come membro degli Avengers, cui venne data nuova umanità assegnandogli il ruolo di coscienza critica della nazione.

Stan Lee

Alcuni personaggi creati da Stan Lee vedono nei loro nuovi poteri l’occasione per affrontare le proprie debolezze interiori, non senza dolore. Il timido e geniale studente Peter Parker, morso da un ragno radioattivo, diventando Spider-Man scopre che da un grande potere derivano grandi responsabilità, ma non per forza altrettanta gloria. Lo scienziato Bruce Banner, esposto a raggi gamma, sfoga i suoi problemi di gestione della rabbia trasformandosi nel gigante verde Hulk, finendo però con l’essere trattato come un mostro. L’avvocato Matt Murdock, reso cieco da scorie tossiche, affina i sensi restanti diventando Daredevil, una specie di vigilante ninja, ma andando incontro a una serie di disgrazie personali. Non va meglio ai Fantastic Four, ex astronauti investiti da raggi cosmici – specie alla Cosa, perennemente trasformato in un mostro di pietra – sempre in bolletta per pagare i danni provocati fortuitamente nel combattere i cattivi. Né agli X-Men, unici a possedere i superpoteri dalla nascita a causa di mutazioni genetiche, e perciò oggetto di discriminazione. Altri supereroi di Lee vivono invece la nuova condizione come la chiave per superare egoismo e vanità e diventare persone migliori. Il cinico playboy miliardario Tony Stark, con una scheggia metallica vicina al cuore, usa il suo genio scientifico per proteggere sé stesso e gli altri costruendo e indossando l’armatura di Iron Man. L’arido chirurgo Stephen Strange, dopo aver perso l’uso delle mani in un incidente, comprende il valore della vita in Tibet diventando un maestro di arti mistiche. L’arrogante dio Thor, esiliato sulla Terra dal padre Odino, riscopre l’umiltà nei panni del gracile studente di medicina Donald Blake.

Oltre all’enorme talento nel donare realismo e credibilità ai suoi personaggi, va riconosciuta a Stan Lee una straordinaria capacità di leggere l’attualità del suo tempo e trattare temi di valenza sociale, anche piuttosto scomodi, intercettando il disagio soprattutto dei giovani e delle minoranze. Nelle sue storie si è parlato molto di terrore nucleare, diritti civili, razzismo, guerra in Vietnam, rivolte studentesche e droga, sempre con enorme rispetto per la delicatezza della materia in questione e schierandosi apertamente dalla parte dei più deboli e contro ogni pregiudizio.

Stan Lee

Sul finire degli anni ’60, Stan Lee iniziò a diradare gradualmente la sua attività di sceneggiatore, dedicandosi quasi del tutto al ruolo di editore e Presidente della Marvel Comics. Scrisse regolarmente le serie dedicate ai Fantastic Four fino al 1971 e a Spider-Man fino al 1973. Ormai aveva gettato le basi perché altri autori, altrettanto validi, si occupassero delle sue numerosissime creazioni, alcune delle quali, da lui ideate come comprimari delle testate principali, divennero protagoniste di nuove storie. Sono, fra i tanti, Ant-Man (1962), Wasp (1963), Black Widow (1964), Hawkeye (1964) e Scarlet Witch (1964), divenuti in seguito colonne degli Avengers. E poi Black Panther (1966), primo supereroe africano, e Silver Surfer (1966), tragico antieroe alieno, nati dalla penna di Jack Kirby sulle pagine di Fantastic Four e poi al centro di memorabili saghe in solitaria. E ancora, l’agente segreto ed eroe di guerra Nick Fury (1963), che nasce come protagonista di una serie bellica tout-court sempre disegnata da Kirby, ma diventa in seguito una specie di collegamento tra il mondo dei civili e quello dei superumani. Infine Groot, albero senziente extraterrestre, apparso per la prima volta nel 1960 in una storia breve con disegno di Kirby, e recuperato più di quarant’anni dopo come membro del team Guardians of the Galaxy.

Nei decenni successivi, Lee si dedicò solo saltuariamente alla sceneggiatura. La sua ultima creazione originale per la Marvel fu, per i disegni di John Buscema, il personaggio di She-Hulk (1980), cugina del gigante verde, che affronta in chiave ironica tematiche d’attualità come il femminismo e la liberazione sessuale, di cui scrisse il primo numero. Il suo capolavoro della maturità fu la graphic novel fuori continuity The Silver Surfer: Parable (1988), illustrata dal francese Moebius, in cui utilizza uno dei suoi personaggi più apprezzati per una riflessione revisionista sulla falsariga di Watchmen di Alan Moore sull’elevazione da uomo a Dio insita nella filosofia del supereroe.

Stan Lee

Sempre presente e attivo come Presidente onorario della Marvel anche da anziano – a chi gli chiedeva perché, rispondeva «Finché mi diverto, non sento il bisogno di andare in pensione» – Stan Lee appoggiò fin da subito con entusiasmo l’idea della trasposizione cinematografica delle sue opere fumettistiche, che poté vedere realizzata solo in età avanzata grazie ai progressi degli effetti digitali. A partire dal seminale Spider-Man di Sam Raimi (2002), ancor prima che prendesse forma il progetto Marvel Cinematic Universe, Lee apparve praticamente in ogni cinecomic Marvel con un simpatico cameo, mostrandosi sempre arzillo e sorridente.

«I fumetti sono le favole degli adulti», aveva dichiarato a proposito del successo dei suoi personaggi presso un pubblico intergenerazionale, ed era convinto che il divertimento fosse una delle cose più importanti nella vita delle persone. Aveva un motto, “Excelsior!”, che stava a significare qualcosa tipo “In alto e avanti verso una gloria più grande”. Così affrontava la vita, anche se era consapevole che ormai era alla giunta alla fine: «Ho avuto una vita abbastanza lunga – aveva detto di recente – Odio lasciare mia moglie e mia figlia, ma il cielo sa che va oltre la mia volontà. E io non credo nemmeno veramente nel cielo!».

Un umanista vero, lucido e ironico. Il creatore di un universo che, pur sconfinando nella fantasia, nello spazio, nella divinità, è sempre rimasto con i piedi per terra. Con radici ben salde nella vita quotidiana e nei problemi di tutti noi. Sarà triste andare al cinema e non vedere più i suoi camei nei film dell’MCU. Ma anche se non è più tra noi, con le sue opere si è guadagnato l’immortalità. Grazie di tutto, Stan. Excelsior!