Vivarium del regista irlandese Lorcan Finnegan è uno strano film uscito on demand durante il periodo di lockdown dovuto alla pandemia del 2020. Difficile scollegarlo dal contesto in cui gli è capitato di essere distribuito, perché Vivarium può suscitare sensazioni sgradevoli, che molte persone hanno associato all’isolamento sperimentato nella vita reale. È un’opera meritevole, ma è meglio sapere in anticipo che è un film disperante, da non guardare nei momenti bui.

Vivarium recensione

Paesaggi impossibili – Vivarium: recensione del thriller surrealista

Presentato a Cannes nel 2019, Vivarium è ambientato in un paesaggio impossibile. Si tratta dello sviluppo di un’idea che Finnegan aveva già usato in Foxes, il suo corto del 2011. L’ossessione per la suburbia come territorio di sconfinata insensatezza si traduce visivamente in un agglomerato di villette a schiera tutte uguali, moduli che si ripetono all’infinito intrappolando i personaggi. In Vivarium si tratta di una dimensione straordinaria, dalla geometria innaturale; in Foxes il sobborgo era invece reale, uno dei tanti quartieri fantasma spuntati in Irlanda a causa della speculazione edilizia. Sono cittadelle vuote, mai abitate da nessuno, deformazioni del capitalismo e della gentrificazione.

L’insensatezza reale di questi luoghi si trasforma in Vivarium in un elemento estetico funzionale all’angoscia del racconto. La coppia protagonista, interpretata da Imogen Poots e Jesse Eisenberg, sembra piombare dentro a un quadro surrealista. Le atmosfere ricordano altre opere come No-End House, seconda stagione di Channel Zero, che ragiona anch’essa su una suburbia spaventosa; ma può richiamare anche l’assurdo di Being John Malkovich di Spike Jonze e più in generale un Michel Gondry a cui l’acido è preso male. Viene paragonato quasi sempre a The Twilight Zone, per ragioni legittime (per altro la definizione sembra provenire dal marketing del film).

Vivarium recensione

Un’atmosfera terrificante – Vivarium: recensione del thriller surrealista

Insomma, i riferimenti sono chiari. L’estetica potrà piacere o infastidire, essendo in un certo senso di maniera nel 2020, ma in suo favore si può notare come essa sia in armonia con tutto il resto e non soltanto un vezzo formale. Lo stile della narrazione è serrato, molto più coinvolgente rispetto ad analoghi thriller e horror festivalieri, specie in confronto ai ritmi dilatati di altri titoli di Cannes 2019 come The Dead Don’t Die, Little Joe e Zombi Child.

Vivarium ha un’atmosfera terrificante. La disperazione che lo pervade è nefasta, puramente horror nel senso più cupo possibile. In apparenza si presenta come una metafora della famiglia cis-etero del ceto medio composta da madre, padre e prole a carico; tant’è che si potrebbe dire che rappresenta la visione fin troppo “edgy” con cui chi ha scelto di non avere figli a volte dipinge chi invece si riproduce. E vista la situazione che presenta, è legittimo credere che Vivarium risuoni diversamente a chi ha dei bambini.

È doveroso sottolineare che Vivarium non è un raffinato trattato di sociologia ed è meglio non guardarlo aspettandosi una sottigliezza acuminata. È vero che la storia è modellata su uno stereotipo verosimile, ma il vero punto del film però non è lì, quanto nella rappresentazione di un senso di disagio e disgusto verso la vita. Il modo migliore di fruirne non è esaminare le tracce della sua eventuale metafora, ma viversi il malessere evocato dal suo surrealismo.

Fuori dalla metafora – Vivarium: la recensione del thriller surrealista
SPOILER ALERT

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Se fosse una semplice metafora della famiglia tradizionale e dei suoi orrori, la conclusione sarebbe che i figli crescono per prendere il posto dei genitori. Ma l’elemento cruciale del film è che il “figlio” della coppia è più vicino a un’idea di orrore cosmico che sociologico. Il “figlio” in Vivarium è un’entità altra, senza empatia per l’umano, senza pietà, indifferente alla nostra esistenza come l’universo intuito da H.P. Lovecraft. Il paradigma della famiglia eteronormata è solo la forma provvisoria di un orrore molto più esteso e impossibile da comprendere, un’orrore connaturato all’esistenza stessa. Michel Houellebecq intitolava il suo saggio su Lovecraft Contro il mondo, contro la vita, una frase che calza a pennello anche a Vivarium.