DARK SKIES – OSCURE PRESENZE DI SCOTT STEWART, LA RECENSIONE.

Dappertutto c’è crisi, al punto che la famiglia Barrett ha disabilitato il sistema d’allarme per far quadrare i conti. Con pessimo tempismo: perché misteriose presenze turbano una quiete familiare in fragile equilibrio, col padre Daniel (Josh Hamilton) appena licenziato e la madre Lucy (Keri Russell) che lavora da agente immobiliare, ma è troppo onesta per rifilare catapecchie. Si aggiungano le bollette, e i due figli – il maggiore, Jesse (Dakota Goyo), in piena scontrosità adolescenziale e con dubbie compagnie; il minore, Sam (Kadan Rockett), incline alla vivisezione di lucertole. Per la polizia, l’unica spiegazione logica alle inquietanti bizze di qualche infiltrato – le foto di famiglia che spariscono, il vasellame e gli utensili da cucina trovati ammonticchiati in singolari castelli e piramidi – è che uno dei due ragazzi sia il colpevole. Ma uno dei due ragazzi, piuttosto, è la vittima; e per mettere a posto tutte le tessere del mosaico non servirà la logica, salvo quella squinternata di un lunatico Sherlock Holmes delle galassie (J.K. Simmons), esperto di alieni e dintorni.

PARANORMAL ACTIVITY FROM OUTER SPACE – Al nero delle notti Scott Stewart mischia quello dell’universo profondo, con un horror fantascientifico in cui è piuttosto nebuloso capire se siano più funzionali all’uopo i cliché dell’uno o dell’altro genere. Quanto è chiaro, invece, è che il regista di Legion e Priest rimodula parte della propria identità creativa in questa collaborazione con la Blumhouse che, nonostante ci abbia bombardato nei trailer ricordandoci “dai produttori di Insidious e Sinister“, resta piuttosto la casa di produzione di Paranormal Activity. Ergo, puntuali le citazioni, con tanto di telecamere di sorveglianza – per quanto non in found footage – e spasmodica attesa che qualcosa si muova impercettibilmente in qualche locale dell’abitazione. Fa da contraltare una citazione da Arthur Clarke, così come, d’altronde, all’idea dell’Uomo Nero e ai classici disegni infantili che mostrano il bimbo insieme a qualche sorta di mostro dall’indecifrabile aspetto, si mescola l’intrigo dei rapimenti alieni e la raggelante scoperta dei chip dietro l’orecchio, saldamente piantati in testa e nell’humus dell’immaginario di genere. Mentre non fanno più cip gli uccelli che sbattono, in stormi, contro le finestre – altra idea abusata, vedasi anche il recente Red Lights – né, inerti, emettono qualche sorta di gemito gli spettatori, al più interessati, al più “non annoiati”, ma mai davvero elettrizzati: enter Sandman, exit suspense.

ARRIVEDERCI ROTTA – Prevedibile, dunque, nella trama così come negli sviluppi, Dark Skies si affida a note presenze, come quella di J.K. Simmons: in un horror puro sarebbe stato un medium, in un horror fantascientifico è un nerd dei rapimenti alieni. Cambia qualcosa? Non molto, nemmeno i lineamenti degli attori, con Hamilton e la Russell a timbrare pigramente il cartellino nel rianimare la solfa della famiglia che si salva se resta unita: dall’antico e sempreverde Poltergeist ai vari The Possession o lo stesso Insidious 2, conosciamo il comandamento. Quantomeno, una dignitosa manovalanza consente all’astronave di non deragliare dall’orbita consumata: il timone della regia resta saldo, supportato dalla fotografia di David Boyd – piuttosto allarmanti le occasionali comparse nella penombra degli invasori – e dalla colonna sonora, che invade di nascosto come gli alieni, di Joseph Bishara. Si naviga dunque per rotte conosciute, senza nemmeno il vero colpo di coda finale: non aspettiamoci autentici twist, l’apice della tensione è nell’incontro ravvicinato del solito tipo, in casa, quando la famiglia si barrica e la sfida diventa “mezzanotte di fuoco” contro gli altri (déjà vu con il recente La notte del giudizio: indovinate la casa di produzione), mentre quello della furbizia è nel finale autosufficiente, ma che potrebbe lasciare spazio al secondo capitolo… magari ambientato nello spazio. E magari con qualche idea in più.

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Scritto da Antonio Maiorino.