Sinister di Scott Derrickson, dai produttori di Insidious e Paranormal Activity, è la ridigestione del vecchissimo spunto orrorifico dell’uomo nero: ennesima, per pinguedine del filone, ma di qualità tale da non disperdersi negli almanacchi neri. La tensione del thriller si sublima sul piano ancestrale del terrore, se il “sublime”, scomodando nientemeno che Edmund Burke, riguarda “tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore”. Archeologia dell’orrore, seminato nell’ombra, ma anche distaccato e funzionale antiquariato dello sguardo: gli “oggetti terribili” alla Burke sono pellicole in Super8 con filmati snuff di famiglie sterminate, rispolverati attraverso un programma di montaggio amatoriale su di un netbook. Museo dell’orrore all’avanguardia.

Stralciamo la sinossi dal sito ufficiale (il film sarà nelle sale italiane dal 14 marzo 2013):

Dopo aver ottenuto il successo grazie alla pubblicazione di un libro relativo a un fatto di cronaca nera, Ellison Oswalt è progressivamente caduto nell’anonimato. Decide quindi di trasferirsi con l’intera famiglia a King County per indagare sulla tragica impiccagione di un’intera famiglia, ad eccezione della figlia più piccola, misteriosamente scomparsa. La casa comprata dallo scrittore è proprio la stessa dove è avvenuto l’efferato omicidio. Dopo aver trovato una misteriosa scatola contenente una serie di pellicole che testimoniano la tragedia e altri terribili crimini, Ellison capisce di avere tra le mani il materiale perfetto per un nuovo romanzo e comincia a investigare. Tuttavia, le sue indagini risveglieranno una divinità pagana di nome Bughuul, che entrerà nella sua vita e in quella della sua famiglia trascinando tutti in una spirale di inquietudine e terrore.

Cominciamo col dire che Sinister, nomen omen, è un film davvero sinistro, in cui Derrickson profonde il campionario base dei segreti da bottega degli orrori consolidati in un tirocinio di tutto rispetto (Hellraiser V – Inferno, L’esorcismo di Emily Rose). Dal punto di vista visivo, dunque, le ambientazioni sono assecondate dalla cupezza della fotografia e delle luci al risparmio, tra soffitti scricchiolanti, case dannate, stanze scure, corridoi pericolanti e quei filmini davvero inquietanti, spiati da voyeur dell’orrore con un perverso meccanismo di rovesciamento, per cui par di finire, piuttosto, “spiati” dalle malefiche ed indecifrabili comparse del materiale video a cui mette mano Ellison (Ethan Hawke). È una sorta di contrappasso per l’ambizione dello scrittore dark, che arriva a mentire alla famiglia pur di replicare, su macabro soggetto, il successo giovanile dei bestseller grondanti di sangue: al punto da infilarsi nella tana del Diavolo. Ellison, dunque, è una sorta di occhio che uccide se stesso, un ossessionato dallo sguardo indagatore che trapassa, poi, dalla fissazione, alla paranoia, all’incubo. Ethan Hawke asseconda con disturbata bravura.

Il trapasso dalla prima parte, incardinata sul registro del thriller, alla seconda, in cui le presenze soprannaturali si fanno più invadenti, come strisciando dalla bruma di zolfo di un micro-inferno domestico, avviene con una cadenza da marcia funebre lovecraftiana, in cui “l’altro” nascosto nell’ombra non può che affiorare assecondando l’ineluttabilità di un ciclo della Natura. È questo “aver svegliato il sonno dei morti”, per via della determinazione di Ellison a portare avanti il proprio libro nonostante l’ostilità della comunità locale annunciata dallo sceriffo, a costituire il sottofondo psicologico di un’atmosfera da giustizia pagana in arrivo con la ficcante fermezza della mannaia. L’uomo nero di turno – il mostro più terrificante del 2012, con riferimento all’annata cinematografica americana – è appunto una divinità degli inferi, Bughuul, front-demon di una gang di bambini. In tutto, dunque, Sinister produce rovesciamenti, sottinsù come se il mondo venisse gradualmente assorbito dalla prospettiva di un oltretomba sotterraneo: i bambini da vittime a cricca demoniaca; Ellison che spia le fotografie in cui compare il volto di Bughuul, e finisce per essere braccato dalla stessa preda del proprio sguardo; lo Sherlock Holmes, con tanto di Watson (James Ranson, nelle vesti di un ufficiale locale che collabora clandestinamente alle ricerche attingendo dagli archivi), scaraventato dalla razionalità delle proprie ricerche (coadiuvate persino da un professore, interpretato da Vincent D’Onofrio) all’inagibile “campo senza scampo” dell’irrazionale.

Come in The Ring, dunque, lo sguardo viene punito, ma a differenza del film di Hideo Nakata (e del suo remake americano ad opera di Gore Verbinski) i fatti di cronaca nera vengono cooptati in una mitologia nera: non è una maledizione individuale a scatenare l’orgia di sangue, ma una reazione a catena benedetta da una sorta di Ctulhu di turno. L’ansia, febbrile, dell’insottraibilità a questa dimensione cosmica dell’omicidio costituisce la “sublime” strategia della tensione di Sinister, nella sua vena più thrilling, ed insieme lo spunto per un’estetica ctonia, da occhi (punibili) sull’abisso dell’orrore.

Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.

Alice C.Chiara C.Irina M.Thomas M.Sara M.
76978

Scritto da Antonio Maiorino.