Con It – Capitolo 1 Andrés Muschietti ha affrontato l’arduo compito di portare sul grande schermo un testo fondante dell’immaginario collettivo degli ultimi trent’anni. Il regista argentino doveva infatti tener conto di un pubblico quantomeno duplice: la fascia adolescenziale, target di riferimento del genere, ma anche (e soprattutto) gli adulti segnati dall’esperienza viscerale del romanzo di King e in parte affezionati anche alla miniserie televisiva del 1990 di Tommy Lee Wallace, indubbiamente raffazzonata (basti ricordare l’imbarazzante aracnide del finale), ma con un eccelso Tim Curry e una buona costruzione dell’atmosfera da small town degli anni Cinquanta.

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La pellicola riesce nell’intento grazie alla distanza dal ritmo e dal Pennywise della versione televisiva, nonché allo slittamento temporale voluto da Cary Fukunaga, originariamente al timone del progetto e poi rimasto come sceneggiatore. Con lo spostamento delle vicende della prima parte agli anni Ottanta, It beneficia senza dubbio del revival mediatico del periodo (con il beneplacito degli spettatori, che si godono i poster dei Gremlins, le audiocassette dei New Kids on the Block e il mullet di Henry Bowers). Muschietti (classe 1973) mira però principalmente a raccontare l’epoca della propria adolescenza, concentrandosi sulla transizione tra le grandi avventure in stile Goonies e Stand by Me e le prime novità antesignane della rivoluzione elettronico-digitale (il Walkman, la sala giochi).

Su questa struttura si innesta un ottimo cast dominato dalla travolgente Sophia Lillis, una Beverly carismatica e impavida la cui avvenenza è un’arma a doppio taglio. Non sono però da meno il Bill di Jaeden Lieberher, incisivo erede del compianto Jonathan Brandis; l’adorabile Ben di Jeremy Ray; il fragile ma coraggioso Eddie di Jack Dylan Grazer; il Richie costruito attraverso la recitazione convulsa di Finn Wolfhard (ulteriore trait d’union con il ben più celebrativo Stranger Things), purtroppo penalizzato da un doppiaggio italiano non altrettanto spasmodico.

Il clou è però la strabiliante caratterizzazione di Pennywise a opera di Bill Skarsgård: se l’arma principale di It è l’indefinitezza proteiforme plasmata dalle paure dei protagonisti, è pur vero che il Clown Ballerino è ormai assurto a icona e che era imprescindibile proporne una versione icastica quanto quella di Curry, ma volutamente distante a livello di rappresentazione e di performance. Skarsgård ci riesce perfettamente con il suo clown dai tratti infantili, dal costume retrò e dalle movenze di burattino, che però si sposta a una velocità raggelante. La dimensione cinetico-prossemica è forse la linea di demarcazione più netta fra la miniserie e il film: a Curry bastava comparire sulla scena per seminare il panico, Skarsgård invade lo spazio dello spettatore e gli si fionda addosso. La potenziale comicità degli scatti coreografati da marionetta si tramuta in terrore attraverso la velocità inesorabile del pagliaccio, che ricorda in parte l’accelerazione degli zombie post-romeriani. Come 28 giorni dopo e L’alba dei morti viventi, It vira infatti verso l’action movie, con una profusione di soggettive, cambi di prospettiva e jump scare che producono un efficace risultato autosufficiente, anche grazie al rating per adulti che permette a Muschietti di mostrare l’orrore invece di alludervi.

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Per contro, la tendenza allo shock visivo semplifica la dimensione psicologica e dell’ambientazione: se era impossibile aspettarsi il background cosmologico (alla Tartaruga, creatrice dell’universo e nemesi di It, vengono dedicati solo due Easter egg), il ritmo concitato inibisce però anche lo sviluppo dell’atmosfera inquietante del romanzo. Le singole location, anche se costruite in modo perfetto (come la casa di Neibolt Street), non restituiscono l’effetto complessivo di una Derry in rapporto simbiotico con il Male: in mancanza dell’aura di paranoia degli anni Cinquanta, è Bill a dover esplicitare più volte il fatto che la comunità protegge It scegliendo di non vedere.

La minore esplorazione delle dinamiche tra i personaggi, escluso il triangolo tra Bill, Beverly e Ben, penalizza poi il rapporto tra Eddie e “Big Bill” (quasi un surrogato del legame fraterno reciso da It) e il processo attraverso cui i Perdenti riescono a contrastare il Male: senza l’inalatore per l’asma spacciato per acido e gli orecchini d’argento lanciati con la fionda, l’attacco al mostro diventa molto più fisico, adatto all’estetica da action movie, ma meno rappresentativo a livello psicologico.

La pellicola di Muschietti rimane comunque nettamente superiore alla media degli horror recenti. L’enorme potenza visiva, il cast indovinato, il sorprendente Pennywise di Skarsgård e la colonna sonora calzante di Benjamin Wallfisch restituiscono un film decisamente godibile, anche con le riserve di chi conosce il testo kinghiano. Sarà però la seconda parte, ambientata nel 2015 e prevista per il 2019, a stabilire se l’approccio del regista resiste anche al temibile passaggio all’età adulta.

Alice C.