In un festival come quello torinese che dichiara di avere come uno degli obiettivi principali quello di dialogare con i generi e le loro ramificazioni meno banali e conosciute, fondamentale diventa la sezione After Hours. Protagonista il cinema horror, eplicito e sfiorato, puro e mescolato con altri generi, innovativo e tradizionale, e fili conduttori la follia e la paranoia.

Horror a tutti gli effetti sono It Follows di David Robert Mitchell, e l’irlandese The canal di Ivan Kavanagh: entrambi ragionano su canoni già esistenti, ma mentre il primo, pur ambiguo a livello ideologico, riesce a tenere costante la tensione e a differenziarsi dalla moltitudine dei “teen horror”, il secondo, pur con buoni momenti, affoga in un calderone troppo denso di citazioni e di rimandi.

Di citazioni si alimenta anche The Editor dei canadesi Matthew Kennedy e Adam Brooks, omaggio-parodia al horror/thriller italiano degli anni settanta (ma non solo), con risultati esilaranti. Consapevolmente “ignorante” e allo stesso tempo raffinato e colto per la precisione filologica che va ben oltre il semplice susseguirsi di rimandi e ammiccamenti, ha le carte in regola, nonostante una mezz’oretta di troppo, per diventare un cult.

Horror e comicità si fondono anche nell’ottimo Life After Beth di Jeff Baena, una delle opere più oneste e coerenti nel rapportarsi con i modelli di riferimento. La commedia horrorifica d’ambientazione zombie entra nella cornice della commedia sentimentale, con echi di John Landis e di Joe Dante così come di Edward Wright e della sua trilogia del cornetto. Il risultato è un’opera estremamente divertente, grazie al suo umorismo a metà strada tra la gag fisica del demenziale, la follia della screwball e la comicità di parola della tradizione ebraico-statunitense.

Meno riuscito è The Guest di Adam Wingard, che cerca di lavorare sulla figura del reduce problematico e del suo ritorno in società, ma che non riesce a scavare in profondità e non inquieta, rimanendo un superficialmente gradevole, e pure un po’ tamarro, horror travestito da film grottesco.

L’Italia è rappresentata da In guerra di Davide Sibaldi, un’opera sfuggente e difficilmente etichettabile, sotto certi aspetti riuscita, sotto altri meno; la cosa migliore è il lavoro sui paesaggi urbani, con la rappresentazione della periferia urbana notturna come una giungla con pericoli dietro ogni angolo che costringe alla lotta per la sopravvivenza, mentre il rapporto tra i due protagonisti è appesantito da dialoghi non sempre centrati e da una recitazione stonata.

La sezione ha offerto una piccola retrospettiva dedicata a Jim Mickle, del quale è stato presentata la sua ultima fatica: Cold In July, tratta da un romanzo di Lansdale, un’opera di crisi, di vendette e di catarsi, abile nel rappresentare un ambiente “archetipo” con energia e ironia.

Scritto da Edoardo Peretti.