Il festival più importante di tutti, quello di Cannes 2019, si è concluso con la vittoria, già nell’aria negli ultimi giorni della manifestazione, del film sudcoreano Parasite di Bong Joon-ho. Un buon film, forse non il migliore di quelli del regista, ma ci sta. E giustamente la giuria ha preferito riconoscere la Palma d’oro a un, per modo di dire, outsider, evitando quei mostri sacri che pure Cannes, che può permetterselo, si ostina a presentare in concorso.

Cannes 2019

La vittoria di Bong Joon-ho – Cosa è accaduto a Cannes 2019?

Il trionfo di Parasite induce non poche riflessioni. La prima Palma d’oro a una cinematografia così ricca e importante come quella sudcoreana, dicono in tanti. Certo, ma non dobbiamo dimenticare che proprio il festival della Costa Azzurra è stato artefice del lancio di quel cinema facendolo giustamente diventare un fenomeno di culto, e questo già a partire dal successo di Oldboy di Park Chan-wook, nel 2003. Il regista vincitore Bong Joon-ho è sempre stato cullato dal Festival di Cannes che ha selezionato i suoi film Memories of Murder, The Host, Madre, e finanche il mediocre Okja, e l’ha voluto in giuria nel 2011 come presidente della sezione Caméra d’or. Che solo dopo sedici anni di attenzione festivaliera, un film sudcoreano arrivi all’agognata palma non dovrebbe suscitare perplessità. Per un film peraltro, come Parasite, che mostra non poche analogie – per essere incentrato su una famiglia di reietti – con il film vincitore dell’anno scorso, Un affare di famiglia di Hirokazu Kore’eda. Film, quest’ultimo, che pure interrompeva un’astinenza alla Palma d’oro per il cinema nipponico, che durava dal 1997 con L’anguilla di Shoei Imamura, senza che nel frattempo l’attenzione di Cannes anche per quest’altra cinematografia orientale sia mai scemato. Ma l’aver presentato Okja in concorso, film decisamente di cassetta per bambini, una parentesi nella filmografia di Bong Joon-ho, evidenzia quanto il festival francese ragioni secondo il paradigma della politica degli autori, anche nelle sue palesi degenerazioni. Lo stesso motivo che ha portato alla scelta dei Dardenne, ormai abbonati ai palmarès sulla Croisette.

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Un’edizione ricca di grandi autori – Cosa è accaduto a Cannes 2019?

Rimane una grande annata quella di Cannes 2019, con un concorso che ha saputo mettere insieme tanti grandi nomi, come forse non si vedeva in un festival dalle mostre di Venezia di Marco Müller. Ken Loach che, con Sorry We Missed You, racconta del nuovo sottoproletariato negli spedizionieri dell’e-commerce; Terrence Malick che, con A Hidden Life, torna al respiro poetico-meditativo del suo grande cinema raccontando nel galleggiamento dell’occhio della steadycam la vita in un villaggio d’altura di Franz Jägerstätter che rifiutò l’arruolamento nell’esercito del Terzo Reich e per questo fu condannato a morte; Pedro Almodovar che, con Dolor y Gloria, firma un autoritratto in crisi esistenziale e depressiva; Quentin Tarantino che, con Once Upon a Time in…Hollywood, realizza un ennesimo film sul cinema e sul suo potere sulla fabbrica dei sogni di Hollywood e sul potere dell’arte di immaginare una realtà diversa; Marco Bellocchio che, con Il traditore, racconta delle vicende di mafia che hanno insanguinato l’Italia, con un respiro epico, da Shakespeare, Verdi, da tragedia greca; Xavier Dolan che, con Matthias & Maxime, racconta una delicata storia di amicizia e amore latente nella fase della vita di perdita dell’innocenza e di ingresso nel mondo del lavoro; Abdellatif Kechiche che, con il secondo capitolo della trilogia Mektoub, My Love: Intermezzo, celebra, in chiave autobiografica, l’età spensierata dell’adolescenza, sulla spiaggia, in discoteca, nella sua poetica carnale dei corpi.

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Quinzaine des Réalisateurs e Un Certain Regard – Cosa è accaduto a Cannes 2019?

Fuori dalla competizione ufficiale si registra una buona prova del neo-direttore della Quinzaine des Réalisateurs Paolo Moretti che è riuscito a portare nella sezione collaterale First Love, il nuovo film ultrapop di Takeshi Miike; Zombi Child di Bertrand Bonello, che usa il classico tema horror degli zombi come metafora per trattare di dittature e colonialismo; Ang hupa di Lav Diaz, film di fantapolitica distopica che racconta del futuro delle Filippine sotto il giogo di un nuovo dittatore.

Ma il film più potente di Cannes 2019 è stato presentato nella sezione Un Certain Regard. Stiamo alludendo a Libertè del regista catalano Albert Serra, che prosegue nei suoi viaggi settecenteschi per affrontare le svolte epocali, tra Assolutismo, Illuminismo, Romanticismo, che presiedono al mondo attuale. Serra mette ora in scena il libertinismo sadiano con una crudezza estrema, degna di Pasolini, ma con la capacità di permutare, come la pietra filosofale del suo precedente film Història de la meva mort, gli escrementi in oro, qualcosa di disgustoso in immagini pittoriche.