Tra i dieci titoli in concorso per il premio italiano del Biografilm Festival 2021 spicca un’impresa inedita per la cinematografia documentaria nazionale: Game of the Year, una panoramica sul variegato universo videoludico italiano, realizzata grazie al lavoro certosino del regista Alessandro Redaelli (Funeralopolis) e del suo team: un anno di ricerche e due di riprese in tutto il Paese.

Game of the Year

Developer indipendenti, content creator, streamer, giovanissimi campioni di eSport: il mondo dei videogiochi in Italia ha mille volti, tutti accomunati dalla passione per il settore, ma anche da un’enorme volontà di fare rete, di creare e condividere contenuti ed emozioni. Game of the Year sottolinea egregiamente questo aspetto: il settore videoludico, spesso associato allo stereotipo dell’hikikomori alienato dalla “vita reale”, è invece una colossale fucina di legami, contatti e comunità.

La gioia di trasformare la propria passione in un mestiere, che si tratti di programmazione o di spettacolo, si accompagna sempre alla consapevolezza della precarietà di un settore in perenne evoluzione: ne sono coscienti gli sviluppatori in cerca di publisher o i giocatori di eSport lasciati a piedi e costretti a mantenersi con lavori saltuari, ma anche gli streamer più seguiti, che sanno che il successo potrebbe svanire con la stessa rapidità con cui è arrivato. Quello che però non viene mai meno è il desiderio di costruire qualcosa insieme agli altri, il ritrovarsi uniti da un lingua franca fatta di codice, immagini, suoni ed esperienze condivise.

Game of the Year

Conosciamo così due volti degli eSport: Simone “Nocs” Rosi, che doveva partecipare alle finali Italiane di Rainbow Six: Siege con i compagni di Emme Gaming, ma è rimasto a casa per vicende giudiziarie dell’allenatore, e ora si destreggia tra impieghi occasionali, tra cui l’autista di pullman e lo spogliarellista, in attesa di formare una nuova squadra; e Riccardo “Reynor” Romiti, promessa sedicenne di Starcraft, qualificatosi ai campionati mondiali al primo anno da professionista.

Ci sono poi gli sviluppatori: Matteo Corradini, in bilico tra il mondo dello spettacolo e quello dello sviluppo (con Diego Sacchetti ha realizzato The Textorcist: The Story of Ray Bibbia, apprezzato ibrido tra un bullet hell e un typing game). Davide Isimbaldi e Simone Granata, fondatori di Kibou Entertainment, al momento al lavoro su Blood Opera Crescendo, una coraggiosa avventura investigativa ambientata nell’Austria del Settecento, tra musica classica, stile barocco e sanguinosi omicidi. Giuseppe Mancini e Francesca Zacchia, fondatori di Yonder, impegnati a creare il suggestivo Hell is Others, che fonde filosofia e grafica minimalista.

Ecco infine gli streamer: Fabio “Kenobit” Bortolotti, localizzatore, retrogamer, streamer sul canale Kenobisboch (insieme ad Andrea Babich) e musicista chiptune in grado di produrre strabilianti virtuosismi musicali con un GameBoy. Alena “CiaoMia” Zueva, twitcher russa di giochi di ballo, e il marito Alessandro Allocco, privato dell’uso del braccio destro da un incidente, ma riuscito comunque a costruire una rete di streamer e giocatori professionisti a cui mira a dare una struttura aziendale. Mattia “Attrix” Attrice, titolare di uno dei canali Twitch più seguiti d’Italia, su cui ogni giorno trasmette quattro ore in diretta. Michele “Sabaku no Maiku” Poggi, apprezzatissimo volto di un canale specializzato in recensioni approfondite. Francesco “Fraws” Miceli, tra i primi e più seguiti content creator su Youtube Italia con il suo “Parliamo di Videogiochi

Puntando sulla coralità come cifra stilistica, Game of the Year restituisce dunque la dimensione proteiforme del mondo del gaming italiano, concentrandosi sull’aspetto aggregativo della cultura videoludica (ne sono un brillante esempio le riprese di Svilupparty, evento bolognese dedicato ai developer indie; l’edizione 2021 si terrà il 10 luglio). Lo stesso accento sulla coralità, tuttavia, rischia di penalizzare la comprensione da parte dei non addetti ai lavori: qualche contestualizzazione in più avrebbe rafforzato il valore divulgativo del documentario, che tuttavia rimane un lodevole tentativo di mostrare la solida struttura di collaborazione e condivisione che si cela dietro dietro stringhe e pixel.

Alice C.
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