A pensarci bene, C’era una volta a… Hollywood, il nuovo film di Quentin Tarantino, è anche quello finora più nostalgico e sentimentale, per quanto sentimentale possa essere un film di Tarantino. Questa volta, nel mettere in scena la vicenda dei tre protagonisti – i meravigliosi Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Margot Robbie – il regista estrae dal cilindro qualcosa di più di un semplice omaggio cinefilo come quelli a cui ci ha abituato in venticinque anni di carriera.

Pur non rinunciando ai toni pulp che ne caratterizzano da sempre lo stile, Tarantino mette cuore in questa storia. E nel ribadire la supremazia del racconto cinematografico rispetto alla Storia con la S maiuscola, sembra soprattutto interessato a restituire giustizia ai suoi protagonisti più sfortunati e marginali, non importa se realmente esistiti o frutto di finzione.

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Rick, Cliff e Sharon – C’era una volta a… Hollywood: recensione

C’era una volta a… Hollywood è ambientato in una Los Angeles del 1969 dai colori accesi e ricostruita in maniera eccellente, in cui si muovono tre personaggi diversi, due in crisi e uno in ascesa. Quello più in difficoltà è Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), un attore specializzato in telefilm che, dopo aver raggiunto il successo con una serie western dieci anni prima, ora vivacchia con ruoli da cattivo. È insoddisfatto della piega che ha preso la sua carriera e non gli piace l’idea di trasferirsi in Italia a recitare negli spaghetti western, perciò sfoga la sua tristezza nell’alcolismo. Lo stuntman Cliff Booth (Brad Pitt), migliore amico di Rick, un tempo era la sua controfigura, ma dopo essersi fatto terreno bruciato per una brutta storia del passato, ne è diventato l’autista e l’assistente tuttofare. Vive in una roulotte con la sua inseparabile cana Brandy. Infine Sharon Tate (Margot Robbie), l’unico personaggio reale dei tre, giovane e bellissima attrice emergente, ha da poco sposato Roman Polanski e vive con lui nella villa accanto a quella di Rick. Fra musica e feste in piscina, per lei tutto sembra meraviglioso.

Tarantino racconta otto mesi nella vita dei tre personaggi, da gennaio ad agosto, soffermandosi soprattutto sui due protagonisti maschili. Rick e Cliff cercano di adattarsi a un mondo che sta cambiando e che li ha già messi nel dimenticatoio, reagendo in maniera opposta: pessimista e portato all’autocommiserazione il primo, solido e pragmatico il secondo. Il legame fra i due uomini è raccontato da Tarantino con una sensibilità notevole e ha qualcosa di profondo. Pur essendo basata sul rapporto fra Burt Reynolds e la sua controfigura Hal Needham – al quale è ispirato il look di Cliff – questa bromance affonda le sue radici nelle grandi amicizie virili del cinema hollywoodiano classico, specie nella variante crepuscolare alla Sam Peckinpah.

Quello di Rick è uno dei ritratti più ricchi di umanità della filmografia tarantiniana, ed è il primo tra i suoi personaggi maschili a piangere. Leonardo DiCaprio è straordinario nel delinearne la personalità con una recitazione tormentata e nevrotica, che alterna arroganza e fragilità: raggiunge il suo apice sul set della serie Lancer, specie nel confronto con l’attrice bambina, in una sequenza struggente in cui sfodera tutto il suo istrionismo.

Cliff è invece un tipo tra i più tosti mai creati da Tarantino, un veterano della Seconda Guerra Mondiale capace di superare le situazioni più difficili senza perdere l’autocontrollo. Anche Brad Pitt è al meglio, in una prova all’insegna dell’understatement e di enorme carisma. A lui si devono le scene più divertenti, come quella in cui affronta Bruce Lee – impersonato da Mike Moh, già Ryu nella serie Street Fighter: Assassin’s Fist – sul set di The Green Hornet, e quasi tutta la parte action.

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Il potere salvifico del cinema – C’era una volta a… Hollywood: recensione

Sharon Tate, interpretata da un’incantevole Margot Robbie, resta sullo sfondo e non entra mai nel vivo dell’azione. Con il suo sorriso spensierato e la sua elegante leggerezza, rappresenta il contesto storico, il simbolo di un’innocenza a rischio in una società in via di trasformazione che solo il cinema può proteggere dalla barbarie.

Una barbarie che ha lo sguardo strafatto di acido dei giovani hippies satanisti della Manson Family, caratterizzati da Tarantino in maniera grottesca. Ancor più dei nazisti di Bastardi senza gloria e degli schiavisti di Django Unchained, i seguaci di Charles Manson – che si vede solo in un breve cameo, interpretato da Damon Herriman – appaiono feroci quanto idioti nelle motivazioni e nel modo di agire, ma non per questo meno pericolosi. Attraverso di loro Tarantino sembra prendersi gioco di una certa opinione diffusa, e periodicamente riproposta, che accusa il cinema di ispirare la violenza della società. E si affida al buonsenso della cana Brandy per demolirla del tutto.

Quello che a Tarantino sembra interessare più di ogni altra cosa è, al contrario, esaltare il potere salvifico del cinema fino a superare il confine tra realtà e finzione, con uno spirito giocherellone e naif ma sincero, forse un po’ machista, ma non misogino come qualcuno ha insinuato. Chi ha formulato questa accusa dimostra di non conoscere affatto la filmografia del regista, piena di personaggi femminili dalla forte personalità e capaci di cavarsela senza l’aiuto dell’uomo, da Jackie Brown alla Beatrix di Kill Bill, fino alle ragazze di A prova di morte.

Così come appaiono prive di fondamento le accuse di aver girato un film trumpiano, solo per la diffidenza e il pregiudizio dei due protagonisti verso gli hippies: un atteggiamento che è stato letto da alcuni come un endorsement al conservatorismo dell’attuale inquilino della Casa Bianca, ma che invece è solo funzionale a delineare Rick e Cliff come uomini d’altri tempi rispetto al cambiamento di costumi in atto nella loro epoca.

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Un affresco d’epoca fra nostalgia e catarsi – C’era una volta a… Hollywood: recensione

Nel suo insieme, C’era una volta a… Hollywood risulta un’opera piacevolissima, molto curata sul piano visivo e scritta con mano felice, con punte di ironia anche feroce che non risparmia nessuno, ma pervasa da un’aura di fondo di nostalgia verso un cinema e una televisione che non esistono più e che possono rivivere solo su uno schermo. Se la sequenza di una sorridente Sharon che va al cinema a vedere The Wrecking Crew, il film in cui lei stessa recita, riesce a trasmetterci questa magia, basta osservare il primo piano dei piedi nudi di Margot Robbie (e di quelli della giovane hippie impersonata da Margaret Qualley sul cruscotto dell’auto di Cliff) per capire che comunque Tarantino non rinuncia ai suoi feticci stilistici.

E, a fianco di tutte le esilaranti scene di film nel film in cui troneggia Rick, regala grandi momenti anche a Cliff: su tutti, la visita allo Spahn Movie Ranch, in cui viene a contatto per la prima volta con la Manson Family e dimostra di che pasta è fatto. Nel ruolo di George Spahn, l’anziano e malandato proprietario della tenuta, inizialmente pensato per Burt Reynolds – deceduto prima dell’inizio delle riprese – un Bruce Dern anagraficamente perfetto offre una caratterizzazione straziante. Commovente anche l’ultima apparizione di Luke Perry, prematuramente scomparso a riprese ultimate, nella parte di uno dei protagonisti del telefilm girato da Rick, mentre appare quasi sprecato Al Pacino nel ruolo dell’agente di quest’ultimo, in cui dà fondo a tutta la sua gigioneria. Simpatici i vari camei degli abituali interpreti del cinema tarantiniano, fra i quali spicca Kurt Russell nella parte dello stunt coordinator, che funge anche da narratore.

Con le dolci note di The Mamas & The Papas o di Paul Revere & The Raiders in sottofondo quando è in scena Sharon, un meraviglioso tappeto di colonna sonora che spazia tra le hit classic rock di quegli anni, con qualche pezzo di poco successivo, avvolge tutto il film contribuendo a dare vita a un affresco d’epoca divertente e catartico. C’era una volta a… Hollywood è un viaggio nella memoria rigenerante e solo a tratti scosso dai picchi di violenza splatter che si aspettano da Tarantino, quasi tutti concentrati in un finale all’insegna del grottesco, decisamente sopra le righe e politicamente scorretto, ma che i fan del regista facilmente possono apprezzare.

Davide V.