Non potete raggiungere la Mostra del Cinema? Dalla storia recente del festival, ecco tre soluzioni per (ri)vivere la kermesse veneziana direttamente dal divano di casa o dalla prima fila del Cinema più vicino. Partiamo da A Marriage Story

Venezia 77

IN STREAMING: Storia di un matrimonio di Noah Baumbach

Combinando un dualismo alla Io e Annie e un’escalation alla Carnage, A Marriage Story costruisce una narrazione coinvolgente, la cronaca di un divorzio intimista e corale al tempo stesso. Un gioiello di sceneggiatura e recitazione con i magistrali Adam Driver e Scarlett Johansson, che si muovono brillantemente tra dramma e commedia. Disponibile su Netflix.

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AL CINEMA: Ema di Pablo Larraín

Ema di Pablo Larraín è dirompente, anarchico, lisergico. Dopo l’incursione hollywoodiana di Jackie, il regista cileno torna a un cinema latino e sanguigno con una pellicola che stordisce con la sua carica irrefrenabile e il suo tripudio di questioni esistenziali esperite visceralmente a suon di reggaeton. La protagonista eponima (Mariana Di Girolamo) è il cuore pulsante delle vicende, ma l’energia musicale, sessuale e affettiva che emana trova una cassa di risonanza perfetta nei personaggi ugualmente tormentati e umorali che la circondano. Dal 2 settembre al cinema.

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IN TV: Charlie Says di Mary Harron

Con Charlie Says la regista Mary Harron torna a indagare gli abissi senza fondo della mente umana. L’azzeccato titolo evidenzia subito l’oggetto del film: il modo in cui Charlie, ovvero Charles Manson, punta sulla propria parola per conquistare proseliti (paragonandosi non a caso a “ol’ JC”). Il fulcro non è tanto Manson in sé, quanto il lavaggio del cervello ai danni del suo entourage, in particolare di tre ragazze che mostrano un’identica fede nel “capofamiglia” nonostante i caratteri molto diversi. La pellicola si muove su due binari temporali: l’escalation che porta al sanguinoso 9 agosto 1969 (che per molti, secondo la citazione iniziale di Joan Didion, ha segnato la fine del mondo) si alterna alla dimensione del carcere femminile in cui le ragazze sconteranno l’ergastolo. Lo sguardo è quello di Karlene Faith (Merrit Weaver), scrittrice e docente di Women Studies presso il penitenziario, che tre anni dopo gli omicidi dell’Helter Skelter viene chiamata a tenere un corso per le tre giovani nella speranza di indurre in loro una presa di coscienza delle proprie azioni. La Faith, nomen omen, non si arrende di fronte all’imperitura, sconcertante devozione delle ragazze a “Charlie” e procede con la demistificazione della mitopoiesi mansoniana. Fra le tre fanciulle, la più permeabile è Leslie Van Houten, ribattezzata Lulu nella Family e interpretata da un’adattissima Hannah Murray; l’inconciliabilità tra l’aspetto innocente, l’altruismo innato e gli orrori di cui Lulu si è macchiata illustra efficacemente la portata del condizionamento mansoniano.

Se l’accento sul fatto che le ragazze sono anche vittime, oltre che criminali, inserisce un tassello importante per la comprensione delle dinamiche della Manson Family, il film finisce però per scivolare parzialmente nella condiscendenza, eliminando qualsiasi arbitrio al di là di quello del leader. La figura dello stesso Manson risulta in qualche modo stemperata: Matt Smith convince in questo ruolo per lui inedito (eppure simile a Prince Philip in The Crown, come ha dichiarato l’attore in conferenza stampa), restituendo un Manson tormentato, volitivo e incontenibile, ma l’eccessiva insistenza sulla frustrazione musicale e sui deliri apocalittico-beatlesiani finisce quasi per deresponsabilizzare lo stesso mandante degli omicidi. La fotografia di Crille Forsberg, ricca di lens flare e toni quasi nostalgici, rafforza la sensazione che la pellicola, pur offrendo un’interessante prospettiva psicologica, non riesca a prendere una posizione netta, restando quindi lontana dall’incisività di American Psycho. Prima TV martedì 8 settembre alle 21.20 su Rai4.