Vincitore del Gran Premio della Giuria a Cannes 2004, Oldboy, di Park Chan-wook, rappresenta per molti versi l’alfiere più fulgente di quella rigogliosa primavera cinematografica che, nella prima metà degli anni 00, ebbe luogo nella Corea del Sud, e di cui vale la pena di ricordare, oltre lo stesso Chan-wook, altri autori come Bong Joon-ho (Memories of Murder, The Host) e Kim Ki-duk (Ferro 3).

Opera centrale, sia per posizione che per importanza, della cosiddetta Trilogia della Vendetta, e che assieme a Joint Security Area rappresenta a tutt’oggi la miglior prova di Chan-wook, Oldboy narra le vicende di un qualsiasi signor Rossi sudcoreano, Oh Dae-su, il quale, per nessun motivo apparente, viene rapito e rinchiuso in una sorta di prigione privata per 15 anni, senza che gli venga data spiegazione alcuna. Lasciato infine libero, si dedicherà anima e corpo a scovare e a vendicarsi di chi l’ha sottoposto a un tale castigo.

Film a prima vista lineare, costruito attraverso molteplici colpi di scena oltre che su di un’eleganza e compostezza formali fuori dal comune, Oldboy si rivela invece essere un’opera multistrato che può essere guardata e gustata su più livelli. Ogni livello, più che essere contenuto nell’altro, va ad incastrarsi in un insieme compiuto e continuamente sorprendente, che permette alla pellicola di scavare in maniera inaspettatamente sottile in vari ambiti dell’agire e del sentire umano: dalla semplice fascinazione per l’apparato narrativo e scenico che Chan-wook imbastisce (impreziosendolo con una miriade di rimandi, più o meno alti, ad altri ambiti artistici – di cui la scazzottata a scorrimento laterale a mo’ di videogioco rappresenta l’esempio più lampante), al sottotesto storico-sociale che pare appena accennato e che invece va a costituire un ulteriore campo di coesione del film, fino al continuo ribaltamento dei motivi, delle giustificazioni e delle relazioni fra i personaggi principali che pongono, senza tregua, la questione di cosa siano e come possano essere vissuti i sentimenti nei confronti del prossimo. Ed è per tutti questi motivi che Oldboy si dà come un esempio perfettamente contemporaneo e appassionante di tragedia elisabettiana.

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Leonardo L.
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Scritto da Gualtiero Bertoldi.