“Il lato oscuro de La grande bellezza“, “il nuovo Romanzo criminale “, “Gomorra all’amatriciana”: si sono sprecati, all’uscita, i paragoni fra Suburra e i film italiani di maggior richiamo degli ultimi anni, ai quali è stato associato per ambientazione o temi trattati, gonfiandone inevitabilmente le aspettative. Quattro anni dopo l’efficace ACAB, il figlio d’arte Stefano Sollima torna a trasporre un romanzo verità di Carlo Bonini (in questo caso scritto assieme a Giancarlo De Cataldo) per raccontare una storia corale di malaffare romano che attinge a piene mani dalla cronaca nera contemporanea – spaziando dalle vicende di Mafia Capitale (con un Claudio Amendola abbastanza credibile nella parte di un boss simile a Massimo Carminati) a quelle del clan dei Casamonica (al quale è palesemente ispirata la famiglia Anacleti, con tanto di villa ultrakitsch) – ambientata nei giorni che precedettero la caduta del Governo Berlusconi e le dimissioni di Papa Ratzinger.

Forte del successo riscontrato dalle serie televisive dedicate a Romanzo criminale e Gomorra, di cui è sceneggiatore e regista principale, Sollima replica qui la stessa formula di racconto multifocale, a forti tinte, che non si risparmia in brutalità e in nichilismo, dando vita a un intreccio ricco, non sempre ben congegnato, ma scandito da un buon ritmo (specie nella seconda parte), in cui si muovono personaggi sgradevoli (a cominciare dal deputato vile e corrotto di un Pierfrancesco Favino sopra le righe), ma in maggioranza ben caratterizzati (a parte il pavido pierre interpretato da un Elio Germano sottotono). Lo spunto più interessante è il contrasto fra la vecchia e prudente criminalità capitolina, collusa con il potere politico (incarnata da Amendola) e l’aggressività delle nuove leve, di cui fanno parte il giovane boss di Ostia con ragazza tossica (Alessandro Borghi e Greta Scarano, ottimi entrambi) e il terrificante capofamiglia zingaro col volto del vero pregiudicato Adamo Dionisi.

Lo stile registico è lo stesso visto in ACAB: sequenze di notevole impatto visivo e sonoro – dall’omicidio iniziale, fulmineo e agghiacciante, alla sparatoria nel supermercato, forse la migliore dell’intero film – si susseguono intervallate da dialoghi concitati e a tratti ridondanti e declamatori (“Sono un politico, e me ne fotto!” afferma il personaggio di Favino, incanalando su di sé tutta l’indignazione di Sollima, già espressa nel film precedente, verso le responsabilità dei politici), fino a una conclusione apocalittica e più catartica che mai, con tanto di strage durante un’alluvione, in cui l’acqua fognaria che fa saltare i tombini, inondando le strade, si fa metafora fin troppo esplicita – ma indubbiamente efficace – di una Roma marcia che non può più nascondere le proprie magagne. Il tutto al ritmo della ricercata, anche se un po’ invadente, colonna sonora dei francesi M83.

Cinema di denuncia sinceramente impegnato o furba spettacolarizzazione della realtà, la resa finale, al netto, è più che sufficiente: la vicenda appassiona, la personalità registica è assodata, i personaggi odiosi ma già abbastanza iconici, e il materiale per una nuova serie c’è tutto. La attendiamo su Netflix nel 2017.

Davide V.Edoardo P.Eugenio D.Giacomo B.Giusy P.Gualtiero B.Michele B.
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