Nanni Moretti torna al cinema con Mia madre, film che conferma la vena sotto certi aspetti più compatta e tradizionalista seguita dall’autore a partire da La stanza del figlio, ma che allo stesso tempo non abbandona i riferimenti autobiografici. Moretti, infatti, racconta della morte di una madre, basandosi su appunti e impressioni prese durante lo spegnimento della propria, e mettendo in scena due personaggi che sono, al solito, suoi alter-ego: uno interpretato dallo stesso Moretti, e l’altro interpretata da Margherita Buy, la quale è un po’ l’ennesima reincarnazione del regista, e un po’ riprende gli atteggiamenti più tipici dei suoi personaggi.

Margherita Buy è una celebre regista la quale sta girando un film sulla disoccupazione, alle prese con una stravagante e un po’ distratta star americana (un John Turturro moderatamente istrionico): il lutto imminente la spinge a riflessioni e a prese di coscienza, personali e professionali; in sintesi, il lutto le scatena una crisi prima latente.

Crisi è la parola chiave per capire il senso più profondo del film, e per trovare le coordinate nelle quali inserire il percorso di Moretti in questo primo quindicennio di secolo. Non c’è solo l’ovvia crisi personale dei personaggi, ma ci sono soprattutto i dubbi, l’insicurezza e l’affanno di un autore in cerca di nuove strade per il suo cinema, che non tradiscano però l’essenza di quello che il cinema di Moretti è stato. Vediamo due personaggi simbolo di un autore che mette a nudo il suo disagio nel riconsiderarsi e nel riposizionarsi: disagio personale e cinematografico, e perfino politico (il ricorrere a ritratti e storie sempre più “private”), secondo gli schemi paralleli già delineati da Il Caimano.

Il Nanni nazionale, infatti, pur realizzando un’opera decisamente più compiuta di Habemus Papam, dove il racconto del neo-pontefice in crisi e quello dello psicologo tra le mura vaticane sembravano due film diversi che raramente collidevano, conferma di non trovarsi a proprio agio nel far rientrare elementi più tipici della sua poetica in una cornice e in una costruzione più tradizionale. La sensazione è quella di un percorso ancora in atto e incompiuto, come se il regista stesse procedendo a tentoni nel tentativo di inserire il personaggio Moretti in una nuova ottica, e gli apporti di uno sceneggiatore come Francesco Piccolo e della coproduzione Fandango contribuiscono a rendere questi nuovi approdi non molto distanti da un certo tipo di cinema italiano medio degli ultimi anni (come possono confermare alcune scene, non particolarmente indispensabili, in cui a prevalere è il personaggio Buy).

Detto ciò, certamente Mia madre ha il merito non solo di essere il flusso di coscienza di un autore che ha il coraggio di mettere in scena il sé più intimo, quello doloroso ed estremamente privato delle reazioni al lutto, come quello di un regista in fase di riconsiderazione, ma anche di trattare la tematica con estremo pudore e assoluta delicatezza, alternando a sequenze più convenzionali momenti di grande cinema.

Edoardo P.Michele B.Sara S.Thomas M.
7 1/2998

Scritto da Edoardo Peretti.