Cominciamo da un punto fermo. Qui si ama Joss Whedon, tanto che gli dedicheremo i prossimi due mesi. D’altronde una volta c’erano cineasti cresciuti a pane e Dreyer, oggi invece vengono su per la maggior parte a bibite, cartoni animati giapponesi, fumetti e cinema post-moderno. Un po’ come noi (eccezioni a parte). Che non vuol dire essere peggio, ma diversi. Per esempio, è più facile per queste bistrattate e precarie (anche nella denominazione) generazioni x/y/z evitare la classificazione tra Alto e Basso. È un male? Forse, perché alto e basso esistono, ma a ogni piano dell’albergo Cultura ci sono stanze migliori, con viste più belle, disposizioni dello spazio più accoglienti, mobili meno consumati. E allora perché non tenerne conto? E all’interno della popcorn culture (passateci la denominazione comune), Joss Whedon è uno che ci sa fare, e maledettamente. Tanto da riuscire a rappresentare la x, la y e pure la z.

Prendete Buffy. Oddio, quel telefilm teen in cui Sarah Michelle Gellar coi tacchi mena i vampiri declamando battutacce da action degli anni 80? Sì, ma dove ci si domanda tra le righe che razza di generazione siamo, rendendosi conto, con largo anticipo sui tempi, dell’adolescenza infinita a cui stavamo andando incontro. E facendoci pure pace, vivendo, amando, morendo, risorgendo, evolvendo.

Whedon ha scritto reboot di fumetti, serie tv di successo, serie tv cancellate ma diventate un mito, film (anche da Shakespeare), gran parte della sceneggiatura di Toy Story, eroine femminili che spaccano, web serie, e ci ha pure cantato su. Il suo è un universo crossoverizzato (perdonate l’orrendo neologismo) dove la famiglia allargata dei suoi collaboratori e attori feticcio, si ripercuote in storie e temi ricorrenti intrecciati nel mondo che ha personalmente modellato sugli schermi, sulle pagine e nella vita. Solo lui, quindi, poteva portare al cinema e in tv il modello Marvel, fatto di continui spinoff e crossover, reboot e reborn, rendendolo vivo.

Si potrà obiettare che ormai il senso critico è abbandonato completamente al gusto (personale), ma noi pensiamo che il gusto (personale, certo) si formi (anche) attraverso il senso critico. E riuscire a spiegare l’universo Joss Whedon, attraverso un senso critico che lui stesso ci ha aiutato a costruire, sarà la nostra missione dei prossimi due mesi. Per esempio anticipandovi che The Avengers: Age of Ultron è un film testosteronico, fracassone e mai in equilibrio. Stanco, come lui stesso ha detto di essere, tanto da abbandonare ad altri il futuro della saga.

Noi ne siamo contenti, perché ci piace il Joss ironico, disincantato, che sbaglia, ma va per la sua strada derivativa e sempre personale. Uno che cammina sempre verso sud, verso l’infinito e oltre della #AgeOfWhedon, costruita a suon di bibite, cartoni animati giapponesi, fumetti e cinema post-moderno.

Scritto da Sara Sagrati.