Life

Ci sono dei tòpoi narrativi che al cinema ricorrono periodicamente. L’affondamento del Titanic per esempio ha avuto un film a cadenza decennale, a partire dall’anno stesso in cui avvenne il disastro, il 1912, in cui venne realizzato il film Saved from the Titanic, per arrivare al definitivo Titanic di James Cameron che pure si è rivitalizzato ancora in 3D. E ogni decennio ha avuto anche il suo film sull’omicidio di Kennedy. King Kong, con il suo bagaglio mitico da La Bella e la Bestia, non è mai veramente morto dopo la sua caduta dall’Empire State Building nel primo film del 1933. Il gigantesco scimmione torna nel 1976 a opera di John Guillermin che lo fa salire e cadere stavolta dal World Trade Center. Torna ancora sull’Empire State Building degli anni Trenta, anche perché nel frattempo il World Trade Center non esiste più, nel 2005 a opera di Peter Jackson, e ora il gigantesco primate sta nuovamente impazzando nelle nostre sale, con Kong: Skull Island.

Nuova vita, letteralmente, anche per l’archetipo – perché così è – di Alien, che si perpetua nel film Life di Daniel Espinosa, in uscita nelle nostre sale. La vera saga di Alien, con i suoi innumerevoli sequel e prequel, non comincia con il film di Ridley Scott del 1979, ma ha un antesignano nel 1958 con It! The Terror from Beyond Space (Il mostro dell’astronave), un B-movie dove già una creatura orribile di Marte si insinua nell’astronave eliminando uno a uno l’equipaggio, consumando l’ossigeno e distruggendo le strutture metalliche. Con Life tornano tanto Alien quanto It! The Terror from Beyond Space: la creatura viene ancora da Marte.

Ogni volta che si porta a nuova vita un tema cinematografico, si deve fare i conti con la sempre minore ingenuità del pubblico e con la sempre più difficile da ottenere sospensione dell’incredulità. Rispetto ai predecessori, in Life è ancora forte l’idea dell’alieno come parassita, come malattia, come cancro che consuma, divora, infetta l’astronave-organismo. E ora torna anche l’esperienza dei contagi che sono effettivamente successi, dalla Sars a Ebola: l’ossessione dell’equipaggio per i protocolli sanitari, per isolamenti anti-batterici, barriere di sicurezza, quarantene, riflette una certa schizofrenia sanitaria contemporanea. E ancora da Alien, Life riprende la dimensione biologica. Il “first contact” con la vita extraterrestre, il classico ingrediente della fantascienza, è rappresentato da un organismo unicellulare. Carino, peccato che proliferi a dismisura in un’evoluzione accelerata dando luogo a un mostriciattolo malefico. Se Alien riprendeva l’idea di un organismo parassita, quella vespa che inserisce le uova nel corpo di ragni vivi, le cui larve divorano il corpo dell’ospite (già ispirazione del bellissimo thriller La tarantola dal ventre nero), qui siamo dalle parti di cellule neoplastiche che si riproducono e accrescono il tumore che invade uccidendolo l’organismo ospite.

Daniel Espinosa riesce ad aggiornare e adeguare il mito di Alien alle paure dell’uomo contemporaneo. Ma in definitiva le emozioni del film sono le stesse, di terrore, per chi soffre di aracnofobia e si trova un ragno nel bagno. L’equipaggio di LiFe avrebbe dovuto usare, come Woody Allen in Io & Annie, delle semplici racchette da tennis. E avrebbero sbrigativamente risolto il problema.