I lettori di recensioni cinematografiche si dividono in due categorie: quelli che prima leggono il voto e quelli che lo guardano alla fine. Ci sono poi i professionisti, che coprono la firma con la mano, divertendosi a riconoscere l’autore del pezzo dallo stile, fino a dedurne il giudizio sintetico. Comunque vada, a qualunque categoria si appartenga, sarà però il voto a restare nella memoria e a diventare argomento di conversazioni con gli amici cinefili. Ogni volta che esce una nuova edizione del Mereghetti, si fanno le pulci alle stellette, a ogni tabella dei voti di un giornale, online o meno, sono le differenze a far discutere.

Come è possibile che colleghi e sodali, accomunati dalla stessa linea editoriale, possano valutare lo stesso film con range che vanno dal 2 al 9? È possibile, perché la critica non è una scienza. E nemmeno una mera espressione di gusto. Magari una via di mezzo, dove il giudizio DEVE essere la conseguenza di un confronto con delle conoscenze. La conoscenza nasce dall’esperienza e le esperienze di ognuno di noi sono diverse. Ergo, diversi approcci, diverse storie, diversi giudizi. Si chiama pluralità e ci piace. Ci piace meno quando diventa fronda, fazione, scontro. Ci piace ancora meno quando la recensione si trasforma in una mera espressione di gusto. Non ci piace per niente quando si usa il fact checking come strumento critico, come se un film debba necessariamente essere vero, piuttosto che verosimile. Quello che ci piace è il cinema e parlarne, analizzarlo, magari sbagliando. E ci piace anche dare i voti, perché in fondo si tratta di un gioco, di un esercizio da sviluppare su cinque stellette, quattro gradi di giudizio – come con i nostri sticker – o su una scala da uno a dieci, compresi mezzi punti. Perché la critica più seria è quella che conosce l’efficacia “commerciale” del giudizio sintetico, ma sente la necessità di ampliarlo con le giuste argomentazioni. È quella che si indigna quando scopre che film, anche brutti, vengono distrutti solo perché la navicella spaziale del protagonista non avrebbe potuto reggere a tale viaggio. Perché la critica più seria è quella che ancora si diverte ad andare al cinema.

Una volta, mentre ero in coda per entrare a una proiezione di un Festival, una nota e stimata critica, ora direttrice di quel festival, ridendo del mestiere disse: «In fondo tutti i critici vogliono solo mettere le stellette». La risata generale degli astanti, me compresa, ci aveva portato un po’ più a sud. Di quella coda sicuramente.

P.S.: i riferimenti a Interstellar non sono puramente casuali.

Scritto da Sara Sagrati.