“Ci vorrebbe un grande storico per spiegare le cause della Guerra dei Sette Anni” dice la voce off di Barry Lyndon. Noi non ne abbiamo bisogno per ciò di cui vogliamo parlare, la proliferazione esagerata di festival nella penisola. L’Italia è diventata, oltre che paese di santi e navigatori, anche il paese delle manifestazioni cinematografiche. Ogni capoluogo di provincia, di comunità montana che si rispetti deve averne uno, magari di documentari o di corti. I motivi sono semplici. Marketing turistico da un lato, dall’altro la sempre maggior facilità di autoprodurre film, che genera un aumento di neoregisti in cerca di piazzare la propria opera. La crescita degli spazi di visibilità, la possibilità diffusa di emergere sono sicuramente buona cosa. Il problema può nascere, ed è nato, quando, nella penuria di finanziamenti, nuove manifestazioni portano a riduzioni dei dividendi. Emblematico è stato il caso del B.A. Film Festival, di Busto Arsizio che, di recente creazione e con una prospettiva più glamour che cinefila, ha fatto da sanguisuga dei finanziamenti regionali, a discapito del vero e storico festival lombardo, il Bergamo Film Meeting, le cui meritorie attività sono note. L’altro problema per i nuovi festival è quello di inventarsi dei contenuti originali e inediti.

Tra le kermesse cinematografiche nuove, o relativamente tali, colpisce la crescita esponenziale del Biografilm Festival di Bologna, che potremmo studiare come un caso di successo. Collocato peraltro in mezzo a due importanti manifestazioni del capoluogo emiliano, il Future Film Festival e Il Cinema Ritrovato, che hanno rispettivamente 18 e 30 anni, mentre il Biografilm ne ha ‘solo’ 12. Quali i motivi di tale crescita per la manifestazione ideata da Andrea Romeo? Al di là dell’avere trovato finanziamenti, il Biografilm si costruisce su un vero e proprio brand. Il nucleo tematico è rappresentato da opere dedicate a vite illustri, tra documentari biografici e biopic di fiction. Non ci risulta, ma in realtà non sappiamo, se ci siano al mondo altre iniziative analoghe. E il brand si sviluppa in una serie di iniziative collaterali, dalle Sale Bio di Roma, Milano e Bologna dove non si degustano verdure coltivate senza pesticidi, ma dove prosegue la programmazione fuori dal festival delle opere distribuite attraverso la società a esso collegata, I Wonder, un’altra sua propaggine. E durante la manifestazione è attivo il Bio Parco, che ancora non è uno di quei vecchi zoo che si è dato una ripulita cambiando nome ed eliminando qualche serraglio, ma è una grande area verde vicino ai luoghi del festival dove di sera si fanno concerti e viene allestita un’area di street food (che pure ha un nome, Biografilm Food District). E altra mirabile iniziativa è il Bio to B (qui giochiamo anche su una quasi citazione shakespeariana), vale a dire il mercato dove si incontrano potenziali compratori e finanziatori con chi presenta progetti. Ma l’apice creativo/organizzativo di questo festival ci sembra essere il modo, unico, di valorizzare i ragazzi volontari, che hanno uno specifico nome, Guerrilla Staff, e sono protagonisti del trailer che precede ogni proiezione. Una formula vincente, non c’è che dire.