Se è vero che questo spazio errante di riflessioni vorrebbe incentrarsi particolarmente sui nuovi linguaggi del cinema e dell’audiovisivo, è anche vero che non si può prescindere dalla storia e dalla tradizione. E quindi questa settimana il premio a soggetto di questa rubrica va a… Oscar. Il premio dei premi cinematografici, ormai diventato prettamente uno show televisivo, campione social dello scorso anno con il selfie più retweettato di sempre e oggi mero e mesto evento passato. Mesto per il brusco calo di ascolti, mesto per il progressivo calo di giudizio.

Con le dovute differenze, gli Oscar sono come Sanremo: se ne parla tanto, difficilmente vince davvero il migliore e alla fin della fiera hanno senso solo per lo spettacolo e non per il valore delle opere in gara. Quello che conta davvero è il rumore, è il contorno, il palco e l’aumento dell’appeal intorno a ciò che rappresenta. Per Sanremo è la riformulazione dell’italianità nazional popolare, agli Oscar la celebrazione del fascino per il cinema. Perfetto dunque il numero iniziale Moving Pictures (vedi sotto) che dalle ombre ci ha portati dentro lo schermo, quindi sul palco con gli attori e poi dritti all’emozione che ci regalano i film. Disastroso ciò che è venuto dopo, incapace di sostenere il proprio ruolo di avvicinamento del pubblico ai film, qualunque essi siano.

Ma il problema non sta tanto nei premi, sempre opinabili, ma nelle nomination sempre più distanti dal cinema contemporaneo, incapaci di proporre una corretta panoramica della produzione attuale. È come se l’Academy fosse ancorata a un’idea vetusta di chi siano i cineasti e gli spettatori.

Mi ha molto colpito una bella riflessione di Roy Menarini espressa su Facebook che condividendo in pieno mi limito a riportare. «… gli Oscar ormai rappresentano il luogo di difesa governativo del cinema medio-autoriale. Tagliano le ali estreme, niente radicalismi ma anche niente Blockbuster […] L’altra cosa che trovo divertente e sconcertante al tempo stesso è la mania per i media d’antan: Oscar al Discorso del re (sulla radio anni fine anni ’30), Oscar a The Artist (sul cinema muto fine ’20), Oscar ad Argo (su un finto film degli anni ’70), Oscar a Birdman (sul confronto teatro/cinema oggi), guai a parlare di computer (l’unico che lo fa, The Imitation Game, non a caso ne racconta le origini degli anni ’40!). Insomma, ieri come oggi, la categoria “film da Oscar” esiste, sia pure in movimento…»

Se è vero che questo spazio errante di riflessioni vorrebbe incentrarsi particolarmente sui nuovi linguaggi del cinema e dell’audiovisivo, è indiscutibile che anche quest’anno l’Oscar è stato rivelatore di un cambiamento non registrato. E noi ci incamminiamo verso sud della Walk of Fame sperando di incappare nell’imprevedibile virtù della conoscenza.

Scritto da Sara Sagrati.