Il regista Samuel Benchetrit, anche scrittore, si ispira a due dei suoi racconti autobiografici tratti da Chroniques de l’asphalte per il suo secondo film: Il condominio dei cuori infranti, abbastanza intelligente traduzione italiana dell’efficace titolo originale Asphalte. Sia la traduzione italiana che il titolo originale si possono collegare ai due aspetti che più caratterizzano il film: commedia sentimentale, intimista e amara e sotto certi versi più tradizionale il primo, e opera più straniante, vicina all’umorismo di autori come Aki Kaurismäki e Roy Andersson, il secondo.

Su questo doppio binario gioca l’intero film, che racconta di tre vicende ambientate nello stesso desolato condominio di una periferia francese. C’è l’astronauta statunitense (Michael Pitt) che, per un errore, atterra sul tetto del condominio e viene ospitato da un’anziana madre d’origine maghrebina (Tassadit Mandi), nella vicenda più surreale e divertente. C’è l’inquilino, da poco paralitico, (Gustave Kervern) che si finge un importante fotografo per conquistare una solitaria infermiera del vicino ospedale (Valeria Bruni Tedeschi) nel segmento più straniante e laconico. Infine, c’è l’adolescente (Jules Benchetrit) che si lega alla sua nuova vicina di casa, un’attrice sull’orlo della crisi (Isabelle Huppert), in quello che è l’episodio più tradizionale. I personaggi sono tutti in qualche modo vittime della solitudine e dello straniamento, e trovano nell’altro una sorta di “mal comune, mezzo gaudio”.

Il condominio dei cuori infranti riesce, nei suoi momenti migliori, a restituire questo senso di straniamento e di solitudine quasi palpabile: lo fa cercando di distanziarsi il più possibile da una certa commedia francese d’esportazione (alla Quasi amici, per capirci) e avvicinandosi, come accennato, all’umorismo laconico e quasi surreale di autori nordici come Kaurismäki. Da questo punto di vista è emblematica la sequenza che apre il film – la riunione di condominio e la conseguente “disavventura” della cyclette e dell’ascensore. Ad aumentare la sensazione di spaesamento generale contribuiscono la fotografia fredda con il grigio e le sua variazioni come tono dominante e l’utilizzo degli spazi stretti e quasi claustrofobici degli ambienti condominiali, così come essenziale è l’attenzione che si dà all’essenza più drammatica e malinconica delle vicende.

Allo stesso tempo è evidente la volontà di non staccarsi completamente dalle esigenze più commerciali, cosa che impedisce di andare fino in fondo alle atmosfere più surreali. Ne esce così un film nel complesso riuscito e comunque emozionante (e divertente, anche se sono risate a denti un po’ stretti), ma anche un po’ incompiuto, non del tutto davvero risolto. E’ vero che il sentimentalismo troppo esplicito viene evitato, ma è anche vero che questa incompiutezza si evidenzia nella seconda parte, quando, dopo una prima metà a tratti fulminante, l’opera tende ad accartocciarsi troppo spesso, non trovando il giusto impatto per i tre finali, tutti in qualche modo prevedibili e poco efficaci.

Edoardo P.Michele B.
76 1/2

Scritto da Edoardo Peretti.