Norte, the End of History: la recensione
«Una fase strana inizia per Raskolnikov; una rugiada l’ha avvolto in un’insopportabile solitudine da cui è impossibile fuggire.» Con questa citazione da Delitto e castigo inizia il cinema di Lav Diaz, posta all’inizio del suo primo film The Criminal of Barrio Concepcion. Film che vede protagonista Serafin Geronimo, un criminale che ha compiuto sequestri di persona per i quali è rimasto impunito, che consegna le sue memorie a una giornalista. Prima incarnazione della figura letteraria dell’omicida di Dostoevskij. Lo scrittore russo tornerà a più riprese nel cinema del regist. Nel film Death in the Land of Encantos il poeta Benjamin Agusan espone a un’amica un suo lungo racconto su una persona condannata ingiustamente, ispirato a una vicenda realmente accaduta e da lui definito un apologo morale di stampo dostoevskiano. Raskolnikov, i temi del bene e del male, del delitto senza castigo e del castigo senza delitto, tornano prepotentemente in Norte, the End of History, il settimo film di Lav Diaz, che racconta di Fabian, un altro studente di legge, che uccide l’usuraia Magda, e per questo crimine viene accusato ingiustamente e messo in carcere Joaquin. Un carcere soprannominato “dente marcio”, nomignolo che sancisce ancora un legame interno della filmografia di Lav Diaz, alludendo ai disturbi dentali di Serafin Geronimo, il suo primo Raskolnikov.
Norte, presentato a Cannes in Un certain regard, destò sorpresa per la fotografia a colori, il tradimento di quell’estetica mesmerica del bianco e nero, di quella fotografia sovraesposta che Diaz usa a partire dalle sue opere mature (erano a colori i suoi primi film, ancora acerbi, come The Criminal of Barrio Concepcion). Il regista, che di solito gira a colori per poi virare l’immagine in scala di grigi in postproduzione, raccontava di aver optato per la policromia dopo i sopralluoghi delle location del film, per la bellezza di quei paesaggi di villaggi di pescatori che diradano sul mare. Si tratta della Provincia di Ilocos Norte, nell’estremo nord-occidentale dell’isola di Luzon, la punta estrema dell’arcipelago. Un territorio dalla luce incantata, dalla natura incontaminata, dai paesaggi pittoreschi. Ma una località sinistra per la storia delle Filippine, avendo dato i natali a Ferdinand Marcos il dittatore satrapo che ha soggiogato il paese per vent’anni, il grande Raskolnikov delle Filippine. E Norte rimane ancora l’epicentro di quel cataclisma politico, in quanto tutt’ora feudo del suo clan. Le antinomie dostoevskiane di cui sopra investono la tessitura stessa dell’immagine del film. La bellezza di una località geografica che è portatrice di una colpa ospita il lamento per un paese martoriato, filo conduttore delle opere del regista. Ultimo tassello della concezione che il cineasta ha della natura, che può generare cataclismi, l’eruzione di un vulcano, un tifone. La natura al tempo stesso occulta, nelle viscere del suolo su cui sono cresciute imponenti palme, i tanti cadaveri delle vittime che ha provocato. La natura di Norte è la bellezza in cui si annida l’orrore.
Giampiero R. | ||
10 |