Marigold Hotel (The Best Exotic Marigold Hotel), pellicola britannica diretta da John Madden, dal 30 marzo nelle sale italiane, ci porta a Jaipur, in India. Sette pensionati inglesi, stanchi della grigia routine e attirati dal lusso e dal comfort di un hotel che hanno visto solo in foto, tramite un’offerta internet alla cieca, decidono di svernare nell’assolata India, mollando tutto. Inutile dire che all’arrivo gli ospiti troveranno tutt’altro: solamente un vecchio palazzo in rovina e perlopiù senza porte, parecchio al di sotto delle loro aspettative. Ad accoglierli, però, ci sarà il giovane Sonny, interpretato dal bravo Dev Patel, che molti ricorderanno per il ruolo protagonista in The Millionaire. E al quale probabilmente, suo malgrado, toccherà interpretare qualunque ruolo da indiano nei film occidentali dei prossimi anni, un po’ come Lucy Liu ha finito per incarnare la classica donna asiatica, all’occorenza, in molte pellicole statunitensi.

I vegliardi inglesi in questione sono certamente celebri, perché tra loro troviamo la premiatissima Judi Dench conosciuta da molti come M, capo di James Bond dal 1995. E così nel corso del film ci si aspetta sempre che la simpatica vedova inglese che la Dench interpreta alzi un telefono da un momento all’altro per chiamare qualche sotterraneo ufficio londinese dell’MI6 ed affidare così a Bond una nuova pericolosissima missione all’altro capo del mondo, tra narcotrafficanti, cecchini, vodka martini e belle donne. Ma in Marigold Hotel non si trova nulla di tutto ciò, e la Dench si limita a fare il te’ e a gestire un call center indiano, nella miglior tradizione coloniale britannica, neanche a farlo apposta.

In compagnia della brava Dench altri non giovanissimi d’eccezione, interpretati da professionisti del calibro di Tom Wilkinson, Maggie Smith e Bill Nighy, tutti quanti già visti in numerose pellicole di successo, e tutti quanti rigorosamente inglesi, fino al midollo. E inglese fino al midollo vuole essere anche questa commedia, tratta da un romanzo, che con qualche fronzolo di banalità di troppo finisce per essere un po’ scontata, dalla sceneggiatura fragile, nonostante il valore degli interpreti, qua un tantino sprecati. La sceneggiatura risulta scontata, perché la storia dei vecchi che vogliono andare all’altro capo del mondo per cambiare vita, con uno dei protagonisti che si scopre essere, immancabilmente, omosessuale, non rende certo giustizia all’originalità di questa storia. L’età media del cast, tra l’altro, finisce per dare l’illusione di assistere a qualche spot di collanti per dentiere, specialmente sul finale.

Bisogna poi ammettere che la location “esotica” contribuisce a rendere questo film piuttosto piacevole.  Ma anche qui, il regista avrebbe potuto caratterizzare meglio i luoghi e mostrare un po’ più di India e un po’ meno di luoghi comuni. Il vecchio giudice omosessuale, memore di una relazione avuta in giovanissima età in India; la vecchietta con tazza di te’ annessa, razzista ma in odore di redenzione, che in India ci va solo per farsi operare all’anca perché costa poco; l’arzillo vecchietto donnaiolo; il proverbiale e caotico traffico indiano, con risciò e vacche magre in mezzo alla strada incluse; la saggezza e la dignità degli indiani dell’India, nonché le loro rigide leggi famigliari sui matrimoni. La pellicola vorrebbe dimostrare che non è mai troppo tardi per cambiare, in meglio, le proprie idee e i propri pregiudizi culturali, ma il risultato, un po’ come lo stesso hotel Marigold di Jaipur, rischia di risultare anch’esso al di sotto delle aspettative degli spettatori.

Oltre alle atmosfere di The Millionaire, alla mente tornano le scene de Il treno per il Darjeeling di Wes Anderson, che però sul fronte della fotografia, della storia e di tutto il resto, si staglia parecchi “piani” più in alto rispetto al Marigold Hotel. Tuttavia, tre bussole se le merita, per gli attori, la location e la simpatia.

Scritto da Massimiliano Lollis.

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Chiara C.
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