Non capita spesso di vedere un film in cui tutti gli elementi che lo compongono s’incastrano esatti al proprio posto, come se ci si trovasse in una partita di tetris; è ancora più raro imbattersi in un’opera nella quale uno di questi elementi, quello che viene dato come il più scontatamente realistico, ovvero il sonoro, assuma ruoli e caratteristiche che gli permettono di elevarsi dall’ambito denotativo nel quale è solitamente circoscritto, a un ben più complesso piano connotativo. E’ esattamente questo ciò che accade per l’intera colonna sonora (musica più effetti sonori) di Kung Fu Hustle (Kung Fusion nella versione italiana) di Stephen Chow.

Di solito l’ago della bilancia, nelle opere cinematografiche, si posiziona fisso sulla relazione tra personaggio/situazione e musiche a questi associate; in Kung Fu Hustle, invece, l’ago pende con decisione verso quello che si può meglio descrivere come un rapporto tra il suono e le reazioni che i personaggi assumono di fronte o in conseguenza ad esso. Il sonoro, da semplice commento verosimile o descrizione di umori e atmosfere, diventa cioè un vero e proprio “personaggio” con cui gli attori si trovano a interagire, e che si inserisce in maniera dinamica all’interno delle scene e del montaggio orchestrati da Chow.

I materiali sonori utilizzati sono i più disparati: la maggior parte delle musiche è composta da Raymond Wong, e si ispira sia alle melodie presenti nei wuxiapian cinesi degli anni 40, sia alle più contemporanee prove di Danny Elfman e Hans Zimmer; si possono poi sentire alcuni movimenti dalla Zigeunerweisen di Pablo de Sarasate e la Sabre Dance di Aram Khachaturian; il tappeto sonoro di rumori ed effetti sonori è fitto e avvincente.

La combinazione di questi elementi è esplosiva. Nelle scene di combattimento si assiste spesso a una totale fusione tra le musiche e i rumori dei colpi scambiati, con la conseguente generazione di fitti pattern ritmici; il risultato sono degli intensi crescendo con effetti che spaziano dal parossistico al volutamente grottesco.

Raramente descrittiva, la colonna sonora fa parte integrante della struttura del film: per fare un esempio, il motivo (di origine diegetica) che accompagna l’entrata in scena di una gang (e che viene così ad essa associato), passa poi nell’extradiegetico, portando la gang a costruirvi attorno una sequenza coreografica prettamente musical. Ci si trova così di fronte a una musica che da accompagnamento si fa motore del procedere filmico, al quale la narrazione si adatta e si presta in più occasioni.

Affascinante è anche la trasformazione del suono in un elemento visivo vero e proprio, come quando, nel combattimento centrale della pellicola, dei combattenti sferrano i loro attacchi suonando il guqin, e dalle corde dello strumento si originano armi e guerrieri scagliati contro gli avversari.

In conclusione in Kung Fu Hustle il sonoro riesce ad essere protagonista esattamente quanto l’immagine, non tanto creando atmosfere, quanto agendo direttamente nella storia come un “personaggio” al quale vengono affidate la gestione e il passaggio dei registri del racconto filmico dal serio al comico e viceversa.

Scritto da Anna Silvestrini.

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