Seconda produzione Netflix presentata in Concorso a Venezia 76, Panama Papers – titolo che, per la distribuzione italiana, sostituisce in maniera didascalica l’originale The Laundromat – segna il ritorno al Lido di Steven Soderbergh, otto anni dopo Contagion. Il regista statunitense, dopo un paio di film a basso costo girati con iPhoneUnsane e High Flying Bird, quest’ultimo sempre prodotto da Netflix – riprende a lavorare con mezzi tradizionali e un budget considerevole, per mettere in scena un’opera di denuncia civile raccontata sottoforma di commedia satirica, con un cast stellare in cui Meryl Streep, Gary Oldman e Antonio Banderas sono i principali mattatori.

Panama Papers

Sulla falsariga di Contagion e Traffic, Panama Papers è una storia corale che ruota attorno a una vicenda principale – l’omonimo scandalo giudiziario, che rivelò l’esistenza di società offshore impegnate in attività di riciclaggio – affrontata da più punti di vista, fin quasi a formare un film a episodi. Oldman e Banderas fungono da narratori e da filo conduttore delle varie sottostorie, rivolgendosi direttamente al pubblico, nel ruolo di Jurgen Mossack e Ramon Fonseca, soci fondatori di uno studio legale con sede a Panama City responsabile di una gigantesca frode assicurativa. Meryl Streep incarna invece la cittadina comune che cerca giustizia dopo che la vacanza dei suoi sogni si è trasformata in una tragedia.

Soderbergh ha citato Il Dottor Stranamore tra le principali fonti di ispirazione del suo film; in effetti, il tono della narrazione, improntato su una satira che sconfina spesso nell’umorismo nero, può ricordare il capolavoro di Kubrick, che affrontava tematiche serissime (il pericolo nucleare) attraverso l’apologo grottesco. Il ruolo più vicino a quello di Peter Sellers che dava il titolo al film è, in questo caso, impersonato da Oldman, con il quale condivide l’estremo cinismo memore di un comune background nazista. L’attore britannico, come sempre eccellente, gigioneggia alla grande in coppia con Banderas, totalmente rigenerato dal suo ritorno a casa Almodovar dopo anni a parlare con Rosita negli spot Mulino Bianco.

Panama Papers

La struttura a episodi del film permette a Soderbergh di cambiare registro a seconda del punto di vista, passando dall’ironia beffarda della cornice con i due avvocati alla profonda empatia che subentra quando è in scena la Streep, che si presta al gioco mettendo il suo immenso talento al servizio di altrettanta passione militante. Particolarmente riuscita la sequenza in cui si scontra con il cinismo dell’agente immobiliare resa alla perfezione dall’algida e quasi irriconoscibile Sharon Stone. Si passa poi con disinvoltura dai toni da commedia pura nel segmento di cui è protagonista Nonso Anozie (esilarante nei panni di un miliardario africano coinvolto nella frode), a quelli minacciosi del thriller nella disavventura cinese dell’imprenditore europeo impersonato da Matthias Schoenaerts.

Su tutto svetta il magistrale talento del regista che, attraverso un film divertente e in apparenza leggero, riesce a esprimere una profonda e impietosa critica al sistema fiscale americano, senza mai annoiare e rendendo coinvolgente e di facile fruizione una vicenda complessa. E, soprattutto, dimostrando ancora una volta grande padronanza della narrazione cinematografica, qualunque mezzo usi e qualunque soggetto tratti.

Davide V.

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