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Venezia 76

5 è il numero perfetto di Igort

Presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 76, 5 è il numero perfetto è il film che segna l’esordio alla regia del fumettista e romanziere Igort, basato sulla sua omonima graphic novel del 2002. Si tratta, dunque, di uno dei pochi, veri cinecomic italiani, alla stregua de La profezia dell’armadillo (uscito a Venezia nel 2018), che portava sullo schermo l’opera di Zerocalcare, o dello storico Paz!, basato sui personaggi di Andrea Pazienza. Il fatto che il regista del film sia lo stesso autore del fumetto pone questa operazione idealmente a fianco del dittico di Sin City, tratto dalle opere di Frank Miller, alla cui trasposizione l’artista americano ha partecipato attivamente; nel caso del secondo capitolo, curandone egli stesso la regia.

Ed è proprio a un simile immaginario, prettamente fumettistico e del tutto sopra le righe, che riporta lo stile di questo film. Un immaginario che ha poco della Napoli anni ’70 in cui dovrebbe essere ambientata la vicenda, apparendo più come un sottobosco urbano buio e degradato, genericamente noir, in cui gangster con indosso cappello e cappotto alla Dick Tracy danno vita a spettacolari sparatorie tipo John Woo, mentre la voce off del protagonista racconta con imperturbabile flemma come sono andati i fatti. La tipologia di racconto rimanda in parte anche a un’altra graphic novel dello stesso genere diventata film, Era mio padre (Road to Perdition), anche per le tematiche in comune del tradimento della lealtà criminale di cui fanno le spese i legami di sangue e del tentativo di lasciarsi alle spalle un passato violento.

Il risultato non è malvagio, è piacevole visivamente e si segue bene. Quello che manca è un po’ di originalità rispetto ai cliché del genere, ai quali l’opera si adatta perfettamente, ma aggiunge poco, se non un po’ di consapevole amarezza in un finale crepuscolare e poco consolatorio. E questo malgrado un cast prestigioso, in cui Toni Servillo, nel ruolo di Peppino, anziano sicario della camorra che torna in attività per compiere una vendetta, partecipa con il consueto distacco emotivo, replicando il suo personaggio di veterano scettico con un po’ di bastardaggine e un enorme naso posticcio in più. Valeria Golino, nella parte dell’amante Rita, è poco valorizzata, mentre Carlo Buccirosso, nel ruolo del feroce Totò ‘o Macellaio, amico di una vita di Peppino, dimostra ancora una volta di non essere solo un comico.

Venezia 76

The Perfect Candidate di Haifaa al-Mansour

Per la seconda volta al Lido, a sette anni da Wadjda (La bicicletta verde) – che fu presentato nel 2012 nella sezione Orizzonti – la regista saudita Haifaa al-Mansour partecipa al Concorso di Venezia 76 con The Perfect Candidate. Un film che racconta la condizione femminile nell’Arabia Saudita contemporanea, e la fatica con la quale l’emancipazione della donna viene vissuta in una società ancora molto conservatrice e patriarcale. Protagonista della vicenda è Maryam, una giovane dottoressa che, per far riparare la strada che conduce al pronto soccorso della sua città, decide di candidarsi alle elezioni del consiglio comunale.

Nonostante gli indubbi meriti, soprattutto etici, della regista nella sensibilizzazione del pubblico occidentale di fronte a una realtà ancora poco nota – non bisogna dimenticare che Haifaa al-Mansour è stata la prima donna del suo Paese a cui è stato permesso di lavorare dietro alla macchina da presa – l’impressione è che, pur lodevole nelle intenzioni, il film non colpisca fino in fondo il bersaglio, risultando a tratti fin troppo edulcorato. Il messaggio ottimista che la regista vuole trasmettere – un incoraggiamento per le donne saudite a essere protagoniste di una società che fino a poco tempo fa le aveva totalmente escluse – è sincero, e le sequenze di forte impatto non mancano – quella iniziale al pronto soccorso, con il rifiuto del vecchio ferito a farsi curare da una donna, e quella del comizio di Maryam di fronte a una platea di uomini che la disprezzano, sono davvero notevoli – anche se rimane il dubbio che si sarebbe potuto osare di più nel raccontare una realtà ancora piena di conflitti irrisolti. E le lunghe sequenze musicali, per quanto testimonino la volontà della regista di valorizzare quelle forme d’arte tradizionali del suo Paese messe a tacere da anni di oscurantismo religioso, finiscono per smorzare in parte l’incisività e il realismo del racconto.

Accanto a una protagonista di grande fascino e carisma con la quale è facile identificarsi, The Perfect Candidate è popolato da comprimari abbastanza ben caratterizzati: oltre alle sorelle minori, emerge il bel ritratto del padre, musicista vedovo la cui carriera non è mai decollata e che reagisce con rassegnato scetticismo, ma mai con aperta ostilità, alla decisione della figlia di mettersi in politica.