Le rimpatriate, si sa, sono per loro natura terrificanti: i vecchi amici che non si vedono da una vita spesso hanno avuto ottime ragioni per evitarsi. Non fanno eccezione i personaggi di The Invitation, produzione indipendente del 2015, uscita negli USA come video on demand. Nonostante la distribuzione fuori dalle sale, il film è uno psycho thriller coi fiocchi. Stelline a profusione su Rotten Tomatoes, ottime recensioni, insomma, potete affidargli una serata domestica.

La regista è Karyn Kusama, quella di Jennifer’s Body, film sgradito ai più per il tentativo di mischiare ai canoni del teen horror il linguaggio giovanilista della sceneggiatrice Diablo Cody (Juno). Il risultato era commedia nera piuttosto divertente, esagerata e camp. The Invitation è lontanissimo da questi presupposti: è un film atmosferico, sobrio – nonostante i fiumi di vino versati dai personaggi –, che ci cala fluidamente nel punto di vista del protagonista, nel suo viaggio nella paranoia. C’è pochissima azione, ma la tensione è altissima.

Come spesso accade nei thriller psicologici, il film se la cava anche con un budget piccolo. Abbiamo una casa e le persone che sono chiuse dentro; sono i legami tra i personaggi a creare la tensione: le loro scoperte, i loro segreti, le loro motivazioni svelate un passo alla volta. E i conti non devono sempre tornare. Fin dall’inizio, abbiamo la sensazione che qualcosa sia fuori posto, proprio come il protagonista che partecipa a una rimpatriata particolarmente difficile, perché si tiene a casa della sua ex moglie. Abbiamo subito la sensazione le cose non stiano andando per il verso giusto, i potenziali indizi saltano all’occhio. Parole, oggetti e luoghi diventano parti di un puzzle che lo spettatore deve ricomporre. Ci sono false piste, ribaltamenti; lo sappiamo: il gioco è proprio questo, indovinare quale direzione prenderà l’intreccio.

Kusama riesce a farci vivere questa inquietudine perché ci posiziona dal punto di vista del protagonista. Assieme a lui notiamo i dettagli fuori posto, ma se dubita di se stesso, dubitiamo con lui; e sempre con lui ci sentiamo vittime della paranoia, del dolore, dei ricordi che riaffiorano. Al centro del mistero c’è qualcosa di universale: il lutto che blocca la vita di chi lo subisce; è una perdita che genera mostri, e torna dal passato per invadere il presente. Perché il dolore è l’incubo della società occidentale, la cui opulenza non può cancellare l’ineluttabile: la morte, non solo la nostra, ma anche quella dei nostri cari. Il film mette in discussione l’onestà del processo di guarigione di chi è sopravvissuto, ponendo domande scomode, a cui non pretende di dare risposte.

Ci sono due attori principali dalla presenza forte, Logan Marshall-Green, noto per essere il sosia di Tom Hardy, e Michiel Huisman, il secondo Daario Naharis di Game of Thrones. Kusama riesce a gestire il materiale di partenza, un’idea semplicissima e nemmeno troppo originale, tenendo alta la tensione ed evitando gli spaventi facili. Ottimo il risultato.

Sara M.
8