In queste giornate in cui la qualità media dei film ha un po’ lasciato l’amaro in bocca, in particolare – con poche eccezioni – il concorso principale, le cose più interessanti si sono incontrate soprattutto nella sezione Orizzonti.

Ne è un esempio Mountain dell’israeliana Yaelle Kayam: ambientato nel cimitero ebraico di Gerusalemme, è il racconto della crisi di una donna che lì vive insieme alla famiglia: crisi coniugale e di autostima, condita con un po’ di noia e una certa insoddisfazione a determinate regole religiose e culturali. La detonazione che fa esplodere il sempre meno latente malcontento della protagonista è causata dal fortuito incontro con un gruppo di protettori e di prostitute che si ritrovano tra le tombe. Lo stile, posato e “classico” (mdp quasi sempre immobile e alternanza di primi piani e campi medi), permette uno sguardo molto pudico e delicato, ma non per questo inerme e innocuo, nel raccontare il disagio della protagonista. Pur non calcando mai la mano, il malessere della protagonista viene reso con incisività, anche grazie a una costante e sottile vena ironica, e grazie a una certa suspense, che corre sottotraccia fino a esplodere nell’ambiguo e (forse) tragicamente catartico finale.

Un altro film che è risultato tra i più apprezzati in questa prima parte della manifestazione è Un Monstruo de mil cabezas del messicano Rodrigo Plà, sempre selezionato per Orizzonti. E’ mirabile la maniera con cui il regista messicano è riuscito a fare critica sociale facendo cinema, senza ricorrere (se non in parte nel finale, il momento più didascalico) alla scorciatoia dello spiegone e della retorica. Il “giorno d’ordinaria follia” in cui la donna protagonista è costretta a improvvisarsi criminale per lottare contro la burocrazia, gli assenteismi e il menefreghismo che impediscono di metter in atto le cure previste per il cancro del marito, è raccontato con le armi di un grottesco accennato e di un umorismo nero costante ma mai eccessivo.

Un altro titolo da annotare sull’agenda è l’inglese The Childhood of a Leader di Brady Corbet, allucinata riflessione sulla nascita e sull’evoluzione della malvagità in un bambino, con significativi rimandi alla storia europea del novecento. Opera che ricorda il radicalismo di Haneke e de Il nastro bianco, resa con continui rimandi all’estetica e ai suoni horror (in particolare dell’horror diabolico) e con un’ambiguità tra fedeltà alla cronaca storica e sguardo ucronico che esplode in tutta la sua potenza nel finale.

Scritto da Edoardo Peretti.