Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza del regista svedese Roy Andersson è stato il vincitore del Leone d’Oro alla 71ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Terzo capitolo di una trilogia composta da Canzoni del secondo piano e You, the Living, il film è composto da una sequenza di brevi quadri che ruotano tutti attorno alle miserie del vivere umano. Rifacendosi al teatro dell’assurdo, Andersson ci presenta una coppia di personaggi ricorrenti d’ispirazione beckettiana – due venditori di scherzi di carnevale, novelli Vladimir ed Estragon in attesa di un non specificato Godot – e mette in scena i suoi frammenti di racconto in modo antinaturalistico. La recitazione degli attori è lugubre e monocorde, i loro volti truccati di bianco, fino a trasformarli in desolati spettri rigorosamente in completo grigio; troviamo la continua ripetizione di alcuni elementi (l’elencazione dei prodotti carnevaleschi; una frase che viene detta al telefono da diversi personaggi: “Sono contento di sentire che state bene”).

Coerente con quest’idea, la curatissima estetica del film ne accentua l’effetto surreale. Le inquadrature, sempre fisse, ritagliano uno spazio che è palcoscenico e fotografia allo stesso tempo. Gli interni sono sempre contornati da paesaggi suburbani che non si fanno mancare palazzoni squadrati e campi infestati da tralicci dell’alta tensione. I personaggi somigliano a caricature dell’espressionismo tedesco, qui desaturato da una palette di colori spenti, ed è lo stesso Andersson ad ammettere di essersi ispirato ai dipinti di Otto Dix, anche se ogni tanto fa pensare al quasi omonimo Wes Anderson.

Le micronarrazioni si intrecciano tornando negli stessi luoghi e scambiandosi qualche personaggio. Il film sembra dividersi in due metà: la prima parte verte quasi interamente sul tema del denaro, mentre le scene della seconda ragionano sulla morte e sullo smarrimento dell’uomo, capace di terribili azioni. Ma nonostante la cupezza delle idee, il film trova i suoi tempi comici e strappa più di una risata, proprio come il teatro dell’assurdo.

La dimensione folle dilaga definitivamente con l’irruzione nel film, ambientato ai giorni nostri, dell’esercito di Re Carlo XXII, che condusse gli svedesi alla sconfitta contro i russi nei primi decenni del Settecento. A questi momenti sembra fare da contrappunto l’unico flashback, ambientato in un 1943 onirico e commovente, dove ci sono soldati ma non è manifesta la guerra. Il film guarda l’umanità con un misto di cinismo e di compatimento, e lo sottolinea con una certa ingenuità, quando verso la fine si sentirà un personaggio chiedere ossessivamente: “È giusto servirsi delle persone solamente per il proprio piacere?”. Ma, seppure didascalico nelle sue metafore e nelle citazioni, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza rimane un bell’oggetto cinematografico.

Sara M.Alice C.Davide V.Edoardo P.Eugenio D. Giacomo B.Giusy P.Sara S.
85576757