Per il suo esordio cinematografico, Italiano medio, Maccio Capatonda riprende il tema alla base dell’omonimo finto trailer di qualche anno fa, per trasporre su grande schermo i personaggi e le gag che lo hanno reso famoso sul web, in TV e in radio, in un film di cui è regista, sceneggiatore e interprete principale. Operazione abbastanza rischiosa, dato che gli sketch di Capatonda – specie, appunto, i finti trailer – si basano su caratteristiche poco adatte al lungometraggio: estremizzazione del riassunto, ridicolizzazione del contenuto attraverso frasi-tormentone pronunciate in maniera enfatica, incapacità di recitare di non-attori prigionieri dei propri stereotipi. Eppure, il risultato non è affatto malvagio, e si distingue nel panorama non proprio ricco di novità del cinema comico italiano.

Attraverso la storia di un uomo, tale Giulio Verme, fanatico ecologista e depresso cronico, cui viene offerta una pillola con la quale potrà utilizzare solo il 2% del proprio cervello, diventando così un perfetto “italiano medio” interessato unicamente al sesso e al divertimento, Capatonda racconta un mondo sempre più superficiale, in cui conta solo il successo, e l’importanza delle cose è direttamente proporzionale alla visibilità che comportano. La satira non risparmia nessuno fra i tipi umani descritti, prendendo ugualmente in giro sia l’intellettuale impegnato ma inconcludente e stupido, che il tamarro egoista e ancora più stupido, ma che appare vincente in una società inebetita e priva di coscienza. Grazie a una trama abbastanza ben congegnata nella sua assurdità, che al riferimento di base a Limitless affianca quello a Fight Club e a vari altri sketch precedenti, il film regge fino alla fine, con un ritmo sostenuto e qualche gag riuscita (una su tutte, quella su Ruud Gullit, apoteosi dell’idiozia della gente), raggiungendo il suo apice nella sequenza del reality “Mastervip”, in cui si distingue un fantastico Rupert Sciamenna nel consueto ruolo del simil-Briatore cinico e ghignante.

Si ride abbastanza, ma non solo: sorprendentemente, Italiano medio si rivela un’opera interessante anche sul piano registico, per l’attenzione del Capatonda cineasta nel dare vita a una realtà deformata e cartoonesca che ricorda quella del cinema di Robert Zemeckis (non a caso considerato da Maccio mito personale), nella quale l’immagine viene spesso percepita attraverso schermi (il televisore, lo smartphone) di fronte ai quali le persone sembrano ipnotizzate, e che strizza l’occhio, nelle sequenze più surreali, anche al linguaggio dei videogiochi. Interpretando non soltanto il protagonista nelle due versioni, ma anche il padre teledipendente e il cantante lagnoso Mariottide, e contornandosi dei soliti caratteristi dai nomi improbabili (Herbert Ballerina, Ivo Avido, Anna Pannocchia), Capatonda dà vita a una sorta di manifesto demenziale ma (auto) critico degli anni Dieci, esilarante per chi ha amato gli sketch, comunque simpatico per gli altri.

Davide V.Edoardo P.Eugenio D.
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