New York, 1900. Un uomo ben vestito sale su una carrozza, toglie uno dei suoi stivaletti bianchi, prepara una siringa e se la inietta tra le dita dei piedi. Si dice che chi ben comincia è già a metà dell’opera e l’incipit di The Knick urla già capolavoro. L’uomo in questione è un medico, il Dr. John W. Thackery (Clive Owen), pioniere della chirurgia al Knickerbocker Hospital, e si sta recando in sala operatoria per un caso di placenta previa. La paziente morirà in un mare di sangue. Siamo solo al minuto 5 del primo episodio di 10 da 58 minuti l’uno (per CineMax, canale fratello di HBO) e già se ne è completamente dipendenti, aggettivo non scelto a caso vista la tossicodipendenza del suo protagonista. Ma in The Knick c’è molto di più: la spinta al progresso, la questione razziale, il ruolo delle donne, la corruzione, le disparità sociale, la salute pubblica.

Generalmente, quando si mette troppa carne al fuoco, si rischia di strafare, ma non è questo il caso. Merito di una scrittura misurata nella sua esagerazione e di personaggi azzeccati a rappresentare le radici (marce) dalle quali siamo cresciuti. L’ospedale è la metafora perfetta per rappresentare le contraddizioni della New York del 1900 dalle quali deriviamo, che sono poi quelle dell’Occidente. C’è il chirurgo spinto dalla smania di passare alla storia della medicina (Clive Owen), la figlia di buona famiglia che vorrebbe essere più di una brava moglie (Juliet Rylance), il medico di colore pronto a menar le mani per scrollarsi la rabbia delle ingiustizie subite (André Holland), l’infermiera ingenua ma indipendente (Eve Hewson, la figlia di Bono) e una delle migliori coppie meglio/peggio assortite della tv: il portantino irlandese sboccato (Chris Sullivan) e la suora abortista (Cara Seymour). Tra conquiste scientifiche – elettricità, aspirapolveri e raggi x -, il progresso muove veloce i suoi passi, mietendo più di una vittima, reale e collaterale.

Produce e dirige Steven Soderbergh, al cinema spesso incline al moralismo, che nella serialità trova invece terreno fertile per conciliare i propri temi ricorrenti (le pulsioni, i limiti dell’essere umano, le costrizioni sociali) all’amore per le tecnologie digitali (il finale della puntata 3 girato con la GoPro è davvero sorprendente). Aiutato dai sodali sceneggiatori Amiel, Begler e Katz, e dalla ipnotica e stupefacente (nel senso che crea dipendenza) colonna sonora di Cliff Martinez, Soderbergh costruisce uno spaccato di grande impatto visivo ed emotivo, capace di solleticare l‘interesse dello spettatore distratto, ma anche enciclopediche elucubrazioni su chi siamo, dove andiamo e, soprattutto, come ci rappresentiamo. La sala operatoria del Dr. Thackery, non a caso seppur storicamente provato, è anche un teatro, dove vanno in scena la vita, la morte e tutto quello che ci sta in mezzo.

Avvertenze: iniziate la visione di The Knick con cautela. La serie propone un finale di stagione micidiale e l’attesa per la seconda stagione potrebbe essere fatale.

Scritto da Sara Sagrati.

Sara S.Chiara C.
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