Abel Ferrara racconta le ultime 24 ore della vita di Pier Paolo Pasolini, creando così una straordinaria dichiarazione d’amore. Pasolini di Abel Ferrara, in Concorso alla 71^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia, è uno di quei film che non avremmo mai pensato di poter vedere. Il regista newyorchese alle prese con il poeta friulano? Ma nemmeno nei sogni cinefili più perversi. E invece, pensandoci meglio, mai connubio poteva essere più felice. Entrambi interessati alle contraddizioni dell’animo umano, affascinati dalla simbologia cristiana, ispirati dal contrasto tra peccato e redenzione, hanno molte cose in comune. In fondo i ragazzi di vita di Pasolini potrebbero essersi trasformati nei vampiri perduti di The Addiction così come la libertà stilistica di Salò essere stata costretta sul palco di Go Go Tales. Ma al di là di speculazioni intellettualoidi, ciò che conta sono i fatti e Pasolini parla per Ferrara.

Nato da un’idea dello stesso Ferrara e del montatore e regista Nicola Tranquillino, scritto da Maurizio Braucci (Gomorra), Pasolini non è un biopic né un sentito omaggio, ma qualcosa di nuovo, mai visto prima. Da una parte c’è la ricostruzione delle ultime 24 ore di Pasolini, nella sua vera quotidianità: la lettura del giornale, le visite, la cena con madre e sorella. Dall’altra la messa in scena di ciò che ci siamo persi, delle opere incompiute, che Abel realizza senza falsi timori e con seria e sentita devozione. E così la vita si intreccia con le parole di Petrolio, in cui Pasolini ritrae un suo alter ego, e alle scene mai girate di Porno-Teo-Kolossal, conosciuto anche come Re magio randagio (e il suo schiavo schiavetto) con il colpo di genio di “usare” Ninetto Davoli nella parte che avrebbe dovuto essere di Eduardo e Riccardo Scamarcio in quella di Ninetto. Il risultato è un ritratto fedele ma libero, sentito ma pensato, potente e pieno d’amore. Ancor di più nella versione in lingua originale, dove ogni attore parla nel proprio idioma (o in un italiano stentato), creando un corto circuito sensoriale che accresce il senso della poesia, della tragedia, della mancanza. Ferrara mette alla prova lo spettatore e il mimetico Willem Dafoe lo rincuora. C’è poi un momento, mentre Pasolini sta concedendo un’intervista (quella che diventerà la sua ultima intervista, concessa a Furio Colombo e pubblicata su La Stampa con il titolo Siamo tutti in pericolo) in cui Willem, nei panni di Pier Paolo, sembra diventare Abel. Non si tratta di una, perdonate il termine, transustanziazione voluta, ma è una specie di miracolo che si compie davanti alla macchina da presa, trascendendo così ogni altro senso critico. Pasolini è un film nato dall’amore e con amore deve essere giudicato, perché siamo ancora tutti in pericolo. E Pasolini ci manca tanto.

Scritto da Sara Sagrati.

Sara S.Antonio M.Davide V.Edoardo P.Eugenio D.Giacomo B.Michele B.
95587+88 1/2