In fila, schierate sul bordo del palcoscenico, le donne di Corinto. Cinque attori maschi coperti di vesti nere che ci parlano di assenza, di morte, di terre aride. Aride come i ventri improduttivi di cinque zitelle “acide e invidiose”. Aride come Corinto, che non ha più figli e che fra poco sarà teatro di un orribile infanticidio. La Medea di Emma Dante, in scena all’Auditorium Parco della Musica, è un canto di disperazione e un ballo dionisiaco.

La nenia è quella dei fratelli Mancuso, che dal buio che precede l’ingresso dei personaggi intonano canti laceranti che anticipano la tragedia, annunciando e cullando il dolore di una donna abbandonata e straniera. La musica e il canto inframezzano lo spettacolo, intervengono a mo’ di coro greco più che per commentare l’azione, per esprimerla in musica, in lamento. A commentare la viltà di Giasone, a consolare la follia di Medea è un altro coro, questo sì di impostazione greca, delle donne-uomini di Corinto, delle signorine sfiorite e desiderose che litigano fra loro come smargiasse dei bassi napoletani.

La danza è quella di Medea, una materica e sensuale Elena Borgogni, che si contorce provocante e scaltra per sedurre il re Creonte ed evitare l’esilio. È la danza rabbiosa e violenta che la pazza di Corinto indirizza contro se stessa, contro quel ventre rigonfio di sciagura e risentimento e contro Giasone, il codardo, il seduttore che, nella concezione della Dante, è uno sciupafemmine in paillettes, pieno di sé, bello ma stupido. E infatti è proprio lui a sottolineare più volte l’intelligenza di Medea, di tutte le donne che, disperate e sprovviste di amicizie e di mezzi, fanno tesoro dell’unica risorsa: una forza misteriosa e oscura capace di ogni cosa.

La Medea di Emma Dante è pienamente una delle sue donne: vittima e carnefice, perdente e trionfatrice, passionale nell’esporsi al sacrificio e all’eros e fredda nella propria determinazione. Il testo è prosa pura, racconto, enunciazione: esclusi il parto e l’infanticidio, l’amore di Medea e Giasone, l’avvelenamento della figlia di Creonte sono episodi riportati dalla parola una volta disperata e una volta cantata di Medea e delle donne di Corinto. L’azione è movimento, scalpitio, contorsione, grido, corpi che si scontrano, che si avvinghiano. È sangue e carne. Come il teatro di Emma Dante che ormai ritroviamo sempre troppo fedele a se stesso, rischiando di non stupire più.

Scritto da Vera Santillo.

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