La 66esima edizione del Festival di Locarno offre, come è consuetudine della rassegna pardata, uno sguardo vasto e stimolante, che cerca a 360 gradi di fare il punto sul cinema del presente per anticipare le tendenze e le correnti di quello che sarà il cinema del futuro.

Ci sono modi di fare cinema che rimarranno inevitabilmente per pochi; per alcuni di questi ci si rammaricherà e si farà di tutto per diffonderli ad una porzione più vasta possibile di pubblico, mentre per altri non si avrà la stessa diligenza nel sostenerli e nel pubblicizzarli, abbandonandoli nell’oblio dei film deludenti, fastidiosi e non riusciti. Tra questi ultimi, ricordiamo almeno L’etrange Couleur des Larmes de Ton Corps di Hélèn Cattet e Bruno Forzani. Vorrebbe raccontare la crescente ossessione di un uomo causata dalla misteriosa scomparsa della moglie; in realtà appare come un’interminabile e insostenibile installazione visiva ispirata al cinema di Mario Bava e di Dario Argento, continuamente citati nel decò delle architetture, nell’importanza delle luci e dei suoni, nella colonna sonora o nei particolari come l’impermeabile nero o i vermetti di Suspiria. Sanguinolento e fracassone, non trasmette l’urgenza e l’interesse di un cinema sperimentale o di ricerca, né racconta una storia, auto-compiacendosi in una sperimentazione visiva fine a se stessa e supponente.

Un film per pochi che invece merita di essere sostenuto e diffuso è Sangue di Pippo Delbono, ideato con Giovanni Senzani, uno degli ultimi capi delle Brigate Rosse. Delbono continua nel suo percorso di un cinema estremamente personale ed intimo, in cui la semplicità dello sguardo e dei dispositivi usati (uno smartphone e una fotocamera) sono funzionali per cogliere il senso il più profondo e l’essenza degli attimi catturati, che vengono così trasmessi nel loro significato più immediato e puro. Nonostante la parte dedicata a Senzani, amico del regista e anche lui colpito da un lutto che lo ha avvicinato alla condizione dell’autore, risulti meno urgente rispetto ai momenti in cui è in scena la vita di Delbono, Sangue è un film di una sincerità e di una forza ai limiti dell’insostenibilità, che sfida certi limiti di rappresentazione su cui l’etica del cinema discute da sempre.

Locarno non è però solo cinema per pochi: si cerca anche di offrire sguardi e visioni più “facili” e allo stesso tempo altrettanto originali, di qualità e stimolanti. Questo tipo di cinema si può ammirare soprattutto la sera -e se cade l’occhio in cielo al momento giusto capita anche di vedere qualche stella cadente- sullo schermo gigantesco di Piazza Grande. Seguendo una varietà che spazia dalla commedia americana (We’re the Millers di Rawson Marshall Thumber) al noir metropolitano d’atmosfera (La variabile umana) di Bruno Oliviero) e recuperando pietre miliari come Ricche e famose e Fitzcarraldo, il cinema all’aperto di Piazza Grande cerca di conciliare grande pubblico e qualità.

Tra le perle offerte nelle stellate sere ticinesi, merita di essere ricordato almeno l’irresistibile Wrong Corps di Quentin Dupieux, geniale e surreale trionfo del politicamente scorretto, che diventa genuina espressione di una realtà che diventa sempre più inferno, concetto espresso nella divertente ed inquietante riflessione finale del poliziotto protagonista. Da recuperare anche il cileno Gloria di Sebastian Lelio, potente e sensibile ritratto di una donna di mezz’età alla ricerca della felicità e in lotta contro la solitudine. Utilizzando le armi della commedia amara, ma con una forza registica capace di regalare più di un’efficace scena madre, Lelio realizza un ritratto femminile di rara sensibilità e forza, sostenuto dalla strepitosa prova di Paulina Garcia.

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Scritto da Edoardo Peretti.