Karibean, Andersen. Mi trovo, come molti di voi probabilmente, in questo luglio caldissimo ed afoso, quando la tastiera del mio pc portatile sembra friggere e ci si potrebbero cuocere anche delle uova col bacon, forse. Sono alla ricerca di un album da recensire, ma nelle mie estenuanti e sudate ricerche tra scaffali virtuali e reali, tra video di Youtube e negozi di dischi polverosi, un disco in particolare (anzi un EP), cattura la mia attenzione estiva e distratta. Si tratta di Andersen del gruppo marchigiano ma anglofono Karibean.

E’ un EP, quindi non aspettatevi un disco con dodici o quindici tracce: sono solo cinque, ma si fanno ricordare, e anche piuttosto bene. Sono piacevoli e fresche, e l’eco delle hit di gruppi californiani e dei Beach Boys si riconoscono nel corso di tutto il disco: ricoprono la superficie musicale come una patina d’annata, la rendono omogenea e ne fanno un prodotto finito e coerente.

Quello di Andersen, che tra parentesi sembra non aver nulla a che fare con lo scrittore danese, è un ascolto anche un po’ straniante, considerato che siamo in un periodo dove per farsi riconoscere nelle playlist adolescenziali e dei soliti “giovani” bisogna fare rumore, pestare sulla batteria, urlare il proprio disprezzo per il mondo ma soprattutto per quel contratto discografico molto indie, ma spesso purtroppo stentato, che se va bene ci si paga una birra a fine mese. La musica dei Karibean è sicuramente qualcosa di diverso: musica da surf dicono alcuni, indie surf wave dicono altri, terribilmente à la page. Di certo non è musica da nostalgici sessantenni dei bei tempi andati, trascorsi al sole delle spiagge della California o tra i fotogrammi di Un mercoledì da leoni. Canzoni leggere, fresche e piacevoli, ideali nel contesto estivo, tra un falò in spiaggia e i caldi tramonti che si fondono col mare, anche se magari la spiaggia non è proprio quella californiana, quanto forse quella di Milano Marittima, Riccione o Jesolo. Non fa niente, vedrete che l’effetto surf è assicurato: bastano un po’ di sabbia, le infradito e dei boxer sgargianti.

E si comincia così con la bella Off the lip, piacevole senza risultare scontata, con echi e chitarre quasi brit, con una bella architettura ritmica di batteria e basso, sempre presente. Sono atmosfere spensierate che possono ricordare quelle di alcuni pezzi dei Supergrass, oltre ai già citati Beach Boys. Si continua con Jesus Jarvis, Rainbow Girl e la meno solare Windows Therapy, quando si trovano anche momenti più marcati di riflessione, tra una surfata e l’altra. Si chiude infine con God Bless the Summer, che più  beachboysiana di così si muore: si riflette sul fatto di attendere la tanto agognata e benedetta Estate. Tutto il disco è, infatti, un inno all’estate e alle sue qualità: un’estate che ci sta sfuggendo di mano e che corre, precipita verso la fine. Unica nota-consiglio: forse si potrebbe spezzare l’unità dell’EP con qualche sonorità di tipo diverso, pur rischiando di far perdere la coerenza al tutto. In definitiva, si tratta di un disco breve e piacevole. Occasione, questa, per conoscere un gruppo di nicchia che può però avere il suo pubblico.

Lo ammetto, non conoscevo i Karibean, e me ne vergogno, ma d’altronde le realtà emergenti italiane sono talmente tante e sfaccettate, che per stare dietro ad ogni novità ci si dovrebbe prendere almeno una settimana libera al mese. E’ l’Indie di oggi, bellezza. E lo è anche in Italia: un buon segno, speriamo.

Scritto da Massimiliano Lollis.

Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.