Dopo tre anni e un esordio che aveva attirato addirittura l’attenzione del “Duca” Bowie, i Fanfarlo si ripresentano alla platea internazionale con Rooms filled with light, disco che ha tutte le potenzialità per diventare un best-seller in ambito indie, benché da queste parti ci si infischi di classifiche di vendita ormai buone solo per spot promozionali.

Senza divagare troppo, vanno annotate un maturazione rispetto al predecessore Reservoir ed un’ampliamento delle trame sonore che da riferimenti folk (vedi alla voce Okkervil River come pure Beirut) vanno ad immergersi in un fiume electro-wave generato dalla montagna (sacra) Talking Heads.

Sì, è vero: gli Arcade Fire –in primis quelli di Funeral– rimangono ancora il principale metro di paragone, ma il quintetto britannico non si limite al compitino del gruppo-epigono grazie ad una serie di soluzioni cui contribuisce in maniera importante il produttore Ben Allen, già al lavoro con Deerhunter e soprattutto –e le nostre orecchie lo avvertono- Animal Collective. Ecco servito quindi un album che ha il sapor d’estate senza per questo risultare il classico disco stagionale di una revivalistica garage-band dei nostri tempi. A fungere da contraltare rispetto a ritmiche più sbarazzine ed 80s si trovano infatti soffici ballate intrise di malinconia come ad esempio la delicata e toccante A flood. Se di folk si tratta, è pure nell’accezione più barocca giacchè la strumentazione utilizzata per Rooms filled with light consta anche di glockenspiel, violino, clarinetto e mandolino.

Ecco quindi che Replicate annuncia forse ironicamente fin dal titolo affinità col gruppo di Win Butler e Regine Chassagne mentre Deconstrunction scivola briosa su tappeti elettronici prima di una chiusura pianistica. L’ottima Lens life poi coglie David Byrne e soci in un momento di relax in spiaggia nel bel mezzo degli anni Ottanta, laddove Tightrope ha un andamento più sostenuto, sorretta da un basso tipicamente wave. Feathers riporta per un attimo gli Arcade Fire ad Haiti quando da In Bones emergono tracce di certa magniloquenza pop cara ai Magnetic Fields ai tempi delle loro 69 canzoni d’amore.

Concreti e convincenti questi Fanfarlo, ça va sans dire senza rinunciare allo stile. D’altra parte un nome che omaggia Charles Baudelaire non lo si sceglie per caso.


Scritto da Fabio Plodari.

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