La poetica di un teatro povero e sociale sono la bandiera di TeatrInGestAzione, che ha portato al Teatro delle Maddalene di Padova, nella rassegna Contrappunti 2011/2012 sezione Universi Diversi, lo spettacolo Canto Trasfigurato di Moby Dick e d’altri mostri che ho amato. Una sola presenza in scena, Giovanni Trono, che inoltre condivide la regia con Anna Gesualdi, ci accompagna tra i mostri marini dell’io, con gli itinerari drammaturgici di Loretta Mesiti.

L’immagine iniziale che si presenta allo spettatore è molto semplice ma efficace: due fari a terra di colore verde acqua proiettano la luce su un fondale bianco e stagliano sullo sfondo l’ombra del corpo dell’attore mentre questi cammina lungo un cerchio immaginario, delimitando lo spazio scenico e bisbigliando qualcosa, con un effetto complessivamente interessante. La voce si fa a poco a poco sempre più forte, finchè tutti gli spettatori hanno preso posto a sedere, e dopo qualche minuto il performer prende posizione al centro della scena: su un tappeto argentato, dondolandosi leggermente sul posto con ogni tanto qualche piccolo movimento del busto e delle braccia, il personaggio porta avanti il proprio monologo (incentrato sul difficile tentativo di preservare la propria umanità in un mondo violento e crudele) per circa una quarantina di minuti. La staticità che ne risulta è però sovrabbondante. Un sospiro di solievo nel finale dove, sempre nello stesso punto dello spazio ma questa volta dandoci le spalle, vediamo l’attore in un lavoro sul movimento semplice ed efficace, che richiama quello di un pesce che si allontana sulla superfice dell’acqua.

La semplicità dello spettacolo è, al tempo stesso, un punto di forza e una debolezza; per quanto l’essenzialità e la sintesi premino sempre, in questo caso si è esagerato un po’: forse il testo così preponderante e continuo stona con la leggerezza del resto dell’impianto scenico. Spesso l’attenzione sul testo cala a causa di questo lungo fluire continuo di parole, nonostante l’idea di base che sostiene la drammaturgia, espressa anche nelle note di regia: “Un inno alla sopravvivenza della propria umanità, in un mare pieno di pescecani, per ritrovare in sé ciò che c’è di divino e di eterno”, sia interessante e sviluppata appieno. Sicuramente apprezzabile è la voce non impostata di Trono, mentre l’amplificazione riesce a mantenere un effetto abbastanza naturale, facendo in conclusione di questo Canto Trasfigurato uno spettacolo che non lascia delusi, né, d’altro canto, troppo colpiti.

ps: immancabile invece l’egocentrismo di certi figuri nel pubblico che entrando, nonostante l’attore fosse già in scena e stesse già compiendo un’azione, dopo essersi accomodati continuavano a parlare invece di guardare cosa stesse succedendo davanti ai loro occhi, non perdendo l’occasione per sproloquiare di niente.

Scritto da Anna Silvestrini.

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