Quando il cinema rispecchia le evoluzioni geopolitiche. Da una parte l’Occidente agonizzante che, come il calabrone del mito, è talmente ignaro  e cocciuto da resistere e volare nonostante ogni legge della fisica (ma per quanto ancora?). La sua visione pacificata e pacificante affidata a un Hollywood sempre più in crisi, aggrappata precariamente a 3D, Marvel e Johnny Depp.

Dall’altra parte il colosso a quattro teste BRIC: quasi 40 milioni di km2 di superficie, più di un terzo dell’intera popolazione mondiale, spalle larghe e determinazione granitica. Conquista infine quel ruolo di primo piano che da un secolo gli si nega. Ma anche davanti all’inevitabile l’Occidente nicchia. Gonfio, sanguinante, barcollante, incita a colpire. “Ma che sta facendo?” “Sta vincendo!” . ‘Cause we must be doing something right to last two hundred years.

Tutto questo per dire: I come India, fortissimamente India! Un’industria cinematografica che non conosce battute d’arresto, uno star system che manda in deliquio generazioni di spettatrici, sempre più spazio conquistato a livello internazionale. Rajan Zed, portavoce degli indù americani, chiede con forza una nuova categoria ai Golden Globe: miglior film bollywoodiano. E anche nei cinema italiani si moltiplicano le rassegne sui registi più interessanti che operano a Mumbai, ma anche in lingua Tamil e Telugu, come Mani Ratnam.

E ora, a coronare questo trionfo, arriva “Bollywood – The Greatest Love Story Ever Told“, fuori concorso alla 64° edizione del Festival di Cannes. Progetto del regista indiano Shekhar Kapoor, conosciuto da noi per la trilogia elisabettiana ma già regista di pellicole come “Bandit Queen” o “Masoom”, il film è un montaggio di 81 minuti delle migliori sequenze del cinema bollywoodiano, realizzato con Rakeysh Omprakash Mehra e Jeff Zimbalist. Impossibile restare indifferenti a questo tripudio di Sari sgargianti e Tikka ondeggianti.

Quattro immagini fisse nella mente, nell’attesa dell’evento. Lo sguardo smarrito di Raj Kapoor, poeticissimo Charlie Chaplin indiano che con “Awaara” (“Vagabondo”) partecipava 48 anni fa al Festival di Cannes, per poi proseguire fino agli anni’80 nella sua discontinua carriera di attore, regista e produttore.

La presenza scenica senza pari di Amitabh Bachchan, eroe ribelle che alcuni sondaggi danno in testa alla classifica mondiale delle star più amate, prima di Humphrey Bogart, prima di Robert De Niro, prima di tutti. Da rivedere “Sholay”, infiammato curry western in cui il nostro “angry young man” ci dà una delle sue interpretazioni più intense.

Il petto palestrato, le mises, la recitazione istrionica di Salman Khan (qui un  bello sfondo per i vostri desktops) e infine l’erede di Bachchan, l’unico nel cuore di ogni donna, il gran mattatore Shah Rukh Khan. SRK interpreta un assassino stupratore? L’antagonista buono non ha speranze: le madri in sala non avrebbero dubbi sul marito perfetto per la loro figliola. E’ sempre lui Shah Rukh Khan. Fra la fronte aggrottata e gli occhi sornioni di questo re di Bollywood sta il nostro futuro, dentro e fuori la sala cinematografica. E ogni invasione non può che essere una sana e positiva boccata d’aria fresca.

Scritto da Barbara Nazzari.

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