C’eravamo lasciati così, con i blockbusters sempliciotti, gli action movies con gli anziani attori-governatori, le avvincenti gare di ballo tra pettorute portoricane, i presunti comici nostrani e Winona che muore. Intellettualismo? Abbassate le armi. Dopotutto vi parla una fan di Star Wars. E la par condicio vuole che si passi al vaglio l’altra metà della luna, le pericolose e virulentissime patologie snobistiche.

N.B. In questa seconda parte alla sezione trattamento si è preferito un preambolo, il che ci discosta dal Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders ma senza presunzione.

Le seguenti patologie colpiscono mediamente pazienti dai vent’anni in su. Nel caso di pazienti che ne mostrino i segni prima dei vent’anni si consiglia l’asportazione del lobo frontale.

Patologia I: Sindrome “Lars Von Trier”
Preambolo: Il tramonto dell’Occidente dopo la morte di Dio vede il proliferare di nuovi idoli laici. Cambiano le forme ma rimane intatto il carattere fideistico. La scienza, la tecnologia, la finanza, il marketing, il web, la dieta a zona, il pilates. E Lars Von Trier.
Diagnosi: Il soggetto che apprezza in toto l’opera di Von Trier è un fedele e come tale dogmatico, nell’evidente defaillance del senso critico (‘Le onde del destino’ è un capolavoro! sbraita agli imbarazzati amici), apocalittico (Il caos regna! sibila la volpe riferendosi alla banalizzante confusione della sceneggiatura), incline ai facili patetismi (‘Dancer in the dark’ è straziante! urla ai sempre più imbarazzati amici).

Patologia II: Sindrome “Ferzan Ozpetek”
Preambolo: Bipolarismo italiano. Bipolarismo politico: da una parte nani e ballerine, dall’altra indistinto magma bigio. Bipolarismo cinematografico: da una parte film da ridere, col comico toscano, col comico pugliese, col comico meneghino, con l’erotismo perbenista da cinema parrocchiale, con le macchiette stereotipate; dall’altra film da riflettere, con Mastandrea, con Accorsi, con la Buy, con Favino (venduti in stock nel pacchetto “film da riflettere”), con la trasgressione perbenista da cinema parrocchiale, con le macchiette stereotipate.
Diagnosi: Il soggetto, che guarda alla fila per “Che bella giornata” con malcelato senso di superiorità (e ricorderete i fan di Zalone intenti a schifare i fan di Boldi, a dimostrazione di come ogni giudizio estetico abbia pochissimo a che fare con l’oggetto del giudicare e moltissimo a che fare con l’instabile narcisismo del giudicante), il soggetto, dicevo, nell’ansia di dimostrare una non indifferente elevatezza dello spirito e così distinguersi dall’elettore medio di centrodestra, guarda tutti i film in uscita che abbiano per protagonisti degli omosessuali, dei lavoratori precari, dei malati terminali, degli artisti tormentati, e come trama l’incomunicabilità piccolo-borghese, le dinamiche famigliari, i tradimenti, le separazioni. Per poi raccontare agli amici che ‘il film X riflette con intelligenza sull’evoluzione dei rapporti di genere e sulla disgregazione della famiglia tradizionale’. Definizione che, calzando a pennello anche per il film Y, il film Z, il film A, insomma per buona parte della produzione cinematografica italiana, consente un notevole risparmio di energia.

Patologia III: Sindrome “Peter Greenaway”
Preambolo: Le declinazioni della cultura del narcisismo sono disparate, dalle più elementari e fisiche (Perversioni Part I: sono fico e ballo da dio, la legge sono io e ora ti bazooko, anche dopo la chemio acchiappo di brutto, sono goffo ma troppo simpa), a quelle apparentemente evolute (io capisco cose che voi neanche immaginate, scandaglio significanti e significati, ho un cervello ipertrofico che secerne genialità come materia di scarto). Fra queste la sindrome “Lars Von Trier” e quella “Ferzan Ozpetek” sono le più innocue, dettate da una ‘presunzione ingenua’. Ben più temibile la sindrome “Peter Greenaway”. Regista peggiore? Tutt’altro. Film che mancano di intelligenza? Al contrario. Ma l’intelligenza non è un alibi, è un’aggravante. E nella sua versione manieristica è il primo imputato nel processo per l’omicidio del Senso.
Diagnosi: Il soggetto sfoggia un look minimal-decadente, ha posizioni anarchico-nichiliste e in un film nota la fotografia, le musiche, i costumi, le scenografie, i titoli di testa, i titoli di coda, le simmetrie interne e il montaggio metaforico. Interrogato sui contenuti rimane sinceramente interdetto.

Eccoci giunti al termine. Tre sole patologie snobistiche ma molto insidiose. Non si fraintenda, niente acrimonia nei confronti di Lars, di Ferzan e di Peter. Perché qui non sono propriamente Lars, Ferzan e Peter, ma l’emblema di un approccio, l’approccio rigido, ottuso e compiaciuto dell’ideologia. Quando invece, lasciate che sia una fan di Star Wars a dirvelo, per sconfiggere il lato oscuro della forza cinefila serve un po’ di elasticità e ironia jedi.

Scritto da Barbara Nazzari.

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