Il 17 maggio scorso Mad Men ha calato il sipario per l’ultima volta, mandando in onda la puntata finale, la numero 14, dopo 7 episodi, che costituiscono la seconda parte della settima stagione, dal titolo evocativo The end of an era. Il salto cronologico al 1970, a un anno di distanza dai primi sette capitoli, configura gli ultimi episodi come una stagione indipendente, piena di autonomia e completezza. Il creatore della serie Matthew Weiner sembra dover chiedere ai suoi personaggi principali: “che ne sarà di noi? a cosa porterà tutto quello che abbiamo costruito fino ad ora?”. Sebbene sia forse impossibile poter riallacciare e portare a conclusione ogni storyline esistente in una serie tanto complessa, la maestria di Mad Men sta proprio nell’utilizzare la scrittura, i ricordi dei protagonisti e i loro malinconici momenti onirici pieni di bruschi ritorni alla realtà, per congedarsi dalle stagioni passate, in maniera più generale e quasi sommaria piuttosto che puntuale e rigorosa.

Come sempre in Mad Men è il luogo di lavoro, il motore delle vite dei personaggi, la forza scatenante che definisce i cambiamenti esistenziali e che produce i tempi della loro maturazione. Ed è il luogo a cui si torna, sempre.

Per Joan, Pete, Peggy e Roger una conclusione sembra arrivare, attraverso una definizione decisa e aperta di quello che sarà il loro prossimo futuro, professionale e personale. Una tranquillità positiva, anche se rassegnata, sembra posarsi su di loro, come a dire: forse non è quello che speravi o che avresti mai immaginato, ma è un destino che ti si addice, e che forse ti conosce più di quel che pensi (“Stop struggling. You’ve won.” Time and Life, 7×11).

Se il personaggio di Betty, e la sua evoluzione, da un lato è destinato a ricordare il lato più inesorabile e non modificabile del futuro, dall’altro Don, come protagonista chiave della serie, provvede a dare pieno significato al proprio viaggio, e ritrova la propria identità e consapevolezza reiterando per l’ultima volta i meccanismi che da sempre l’hanno caratterizzato. Il vecchio Don, che non torna mai a casa, che riafferma la propria solitudine nel disperato tentativo di fuga, e che inaspettatamente si getta nell’abbraccio di un estraneo da cui si sente finalmente compreso, rinasce. Quando lo fa, rompe apparentemente con tutto ciò che è stato prima. Il finale assomiglia molto a un’illuminazione calma e ingegnosa, e suggerendo sottilmente quello che sarà, lascia lo spettatore a bocca aperta.

Malgrado le possibili interpretazioni contrastanti, malgrado il dubbio che si tratti solo dello stesso meccanismo di sempre (e non è forse questo il vero senso del cinico mondo pubblicitario e dei consumi?) e che non si sia appresa alcuna lezione, la pace finale di Don, che darà forse vita a una delle pubblicità più famose di tutti tempi, regala un sorriso vero più che un finale felice, e la certezza che sì, nonostante tutto, Don Draper è tornato a casa.

Scritto da Stefania Malagutti.

Stefania M.
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