The History Boys racconta di un certo modo di insegnare la storia, in cui più che i convincimenti e la veridicità dei fatti, conta la performance del professore e quindi dello studente chiamato a fare scena con la recita degli esami“, racconta l’autore Alan Bennett. È questo l’incipit dell’acclamato spettacolo teatrale, tradotto per il pubblico italiano da Salvatore Cabras e Maggie Rose e diretto da Ferdinando Bruni e Elio De Capitani. In Italia dal 2010, la rappresentazione vanta nel palmarés premi nazionali e internazionali, attori eccellenti e una trasposizione cinematografica con il cast originale dell’opera.

Ambientato in Inghilterra agli inizi degli anni ’80 (in piena era thatcheriana), la storia narra le vicende di un gruppo di studenti impegnati con gli esami di ammissione per Oxford e Cambridge. Pochi elementi scenografici compongono l’aula di studio, in cui si svolge quasi interamente la rappresentazione, con i ragazzi seduti a semicerchio attorno al professore. Gli altri interpreti rimangono seduti sullo sfondo del palco, come se fossero in attesa del proprio turno (le luci di Nando Frigerio illuminano solo i personaggi e gli spazi necessari). La preparazione degli studenti è infatti vissuta come un allenamento intellettuale, al quale vengono contrapposti i differenti metodi di insegnamento dei docenti, Hector (Elio De Capitani) e Irwin (Marco Cacciola).

L’aula di Hector è un palcoscenico in cui si recitano poesie, brani musicali e scene da film. Sono infatti numerosi i siparietti musicali e “cinematografici” (accompagnati al pianoforte da Giacomo Troianiello) in cui gli History Boys (un gruppo di talentuosi attori under 30) si esibiscono durante le lezioni. Meta-teatro dallo spirito goliardico con otto “The Dreamers” coinvolti in un percorso di conoscenza appassionato ma astratto. Irwin, più concreto e razionale, sprona invece i ragazzi alla ricerca dell’originalità, attraverso la curiosità e la ricerca delle stranezze impopolari della storia.

Gli innumerevoli dibattiti culturali sono pregni di immagini (che riecheggiano sul palco anche attraverso il congelamento di alcune azioni, come in una fotografia) e sensazioni di rara bellezza (il braccio dello scrittore verso il lettore): è infatti difficile quantificare la ricchezza del testo di Bennett, se non lasciandosi catturare dalla sua forza evocativa. Altrettanto ricche sono le interazioni tra i personaggi o le loro “voci interiori”: anche in questo caso, Bennett ha il merito di raccontare, con grande umanità, comprensione e ironia british, paure, speranze, desideri e frustrazioni attraverso figure e giochi di parole. Quasi una sfida semiotica a cui lo spettatore è chiamato a partecipare.

The History Boys è un invito ad abbracciare la conoscenza e a diffonderla. Un Attimo fuggente senza “Oh Capitano, mio Capitano“. Pass it on, boys!

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