Non avete ancora mai visto Breaking Bad? Shame on you, prima di tutto. Per fortuna c’è Cinema Errante, pronto a dissipare le vostre lacune in chimica. Mettetevi comodi e preparatevi per una delle storie meglio narrate del panorama televisivo… C’era una volta Walter H. White (il supremo Bryan Cranston), anonimo pedone sulla scacchiera della Vita Quotidiana in un contesto basso-borghese molto americano, in cui la piscina nel giardino di casa non significa che non si sia costretti a stringere la cinghia per arrivare a fine mese. O, come dicono gli yankee, to make ends meet.

E proprio dalle ends prende le mosse la meravigliosa creatura di Vince Gilligan, ideatore e cosceneggiatore della serie. Walter macina lentamente la propria routine nella sonnolenta Albuquerque, in un New Mexico dove gli Stati Uniti stessi finiscono, lasciando spazio alle eredità ispaniche e navajo in un deserto quanto mai conteso per essere terra di nessuno. Il suo stesso lavoro è un cosiddetto dead-end job, senza prospettive, incasellato nei compartimenti dell’istruzione obbligatoria: la passione per la chimica è ardua da trasmettere a studentelli saccenti e in pieno esubero ormonale, e il nostro futuro eroe pare destinato a godersi fosforo rosso e legami covalenti in solitudine, ricavandone una busta paga con cui non riesce neppure a mantenere la bella moglie Skyler (Anna Gunn), vistosamente incinta, e il figlio sedicenne Walter Jr (RJ Mitte), affetto da una deficienza agli arti inferiori che lo costringe a camminare con le stampelle. Il quadro della vita rassegnata di Walter si completa con le scene del suo secondo lavoro all’autolavaggio, puntualmente Instagrammato dai ricchi studentelli di cui sopra, che gongolano nel farsi ripulire le ruote dal proprio professore.

Ma a rimescolare le carte sopraggiunge la minaccia della Fine vera: l’inattesa diagnosi di un tumore inoperabile ai polmoni avvia il motore diegetico e quello dell’evoluzione di Walt, il cui personaggio è costruito in modo talmente magistrale da tenere gli spettatori incollati allo schermo per cinque stagioni che sono tutte conseguenza del percorso iniziato dopo la fatidica radiografia. Quando il gioviale ma ingombrante cognato Hank (Dean Harris), agente della DEA (Drug Enforcement Administration, l’agenzia federale antidroga americana) lo invita ad accompagnarlo per vedere un po’ di “vita vera”, Walter scopre per caso che il suo ex studente Jesse Pinkman (Aaron Paul) spaccia metamfetamine. Il suo cervello, visibilmente azionato a manovella dopo la diagnosi, si riattiva con un’epifania improvvisa che gli indica la strada per dar sfogo al proprio talento chimico e lasciare qualcosa alla famiglia a cui sa di non poter provvedere a lungo. L’intero impianto della storia si riassume nella meravigliosa sequenza di contrattazione fra un incredulo Jesse e un placido ma inesorabile Walt:

Walt: You got nothing. Square one. But you know the business and I know the chemistry. I’m thinking… maybe you and I could partner up.
Jesse: You want to cook crystal meth? You and, uh… and me?
Walt: That’s right… or I turn you in.

Quello square one in realtà non è riferito tanto a Jesse, quanto allo stesso Walt, che si reinventa con l’energia disperata di chi non ha più nulla da perdere. Il suo breaking bad, il passaggio al lato oscuro (sotto il naso della famiglia ignara, cognatone incluso) è un gesto estremo per occuparsi dei suoi cari in un paese in cui senza assicurazione sanitaria non si ha dignità umana, ma è anche il primo passo verso una nuova vita, verso la scoperta di un nuovo io, soffocato per cinquant’anni in un involucro di impeccabile affidabilità e di misurata accettazione e pronto finalmente a marcare il proprio territorio. La sua gabbietta da criceto si apre agli spazi immensi e desolati del deserto (oggetto di spettacolari inquadrature) e a quelli ben più intricati e angusti del sottobosco criminale urbano: qualche contatto, l’acquisto di un camper con gli ultimissimi risparmi, e via nell’agorafobica cornice sabbiosa a “cucinare” cristalli di metamfetamine, subito richiestissimi, data l’abilità di Walt.

Naturalmente gli intoppi non tardano a manifestarsi: fra la difficoltà di procurarsi le materie prime, gli scontri con i dealer locali e la reazione della famiglia alla sua malattia e al suo strano comportamento, Walt deve affrontare pericoli mortali tanto medici quanto criminali e imparare a gestire non soltanto la sua nuova attività, ma anche i mutati rapporti con i familiari e soprattutto con Skyler, sempre più sospettosa date le assenze inspiegabili del marito. La bravura di Bryan Cranston emerge proprio nella ricerca di un nuovo equilibrio interiore per il suo personaggio: nella prima stagione in Walt coesistono il professorino che “cucina” in mutande per non impregnare gli unici vestiti buoni, il chimico pragmatico che fonde serrature per rubare la metilammina che gli serve per i cristalli e che escogita il modo migliore per liberarsi di un cadavere (“It seems to me that our best course of action would be chemical disincorporation, dissolving in hydrofluoric acid.” 1×02, “Cat’s in the Bag”) e addirittura il novello supereroe che difende il figlio dai bulletti locali a suon di calci e riduce in cenere le BMW dei personaggi più irritanti. L’evoluzione di Walt viene suggellata dalla rasatura a zero dei capelli, non solo per contrastare gli effetti collaterali della chemioterapia (“Bad ass, Dad!”, sancisce il figlio nell’episodio 1×06, “Crazy Handful of Nothin'”) e dalla scelta del nickname “Heisenberg“, omaggio al noto premio Nobel per la fisica, ma soprattutto simbolo del New Deal personale di un Mr. White certo non più incolore.

Il resto del cast non è da meno, soprattutto per quanto riguarda Aaron Paul, la cui personalità emerge pian piano da sotto la maschera compulsiva yo, bitch, yo, e la splendida Anna Gunn, che, stagione dopo stagione, si riscopre sempre più donna, oltre che sempre più madre. Anche gli altri personaggi rivelano poco a poco tutta la loro complessità: la maschera di self-confidence di Hank si sgretola fra le profonde crisi di panico e la pericolosa battaglia contro il giro di droga (e in particolare contro il cartello messicano), mentre la moglie Marie (Betsy Brandt) segue il percorso inverso, dimostrando di saper far fronte al crollo del marito e acquistando una tridimensionalità che fa dimenticare l’iniziale figura piatta di cleptomane petulante. Anche gli amici/sgherri di Jesse trascendono il ruolo iniziale di elementi di contorno, divenendo tasselli importante nella rete delle metamfetamine e nel tentativo delle forze dell’ordine di risalire al misterioso Heisenberg. Non mancano poi personaggi di cui si intuisce subito lo spessore, in primis lo spettacolare antagonista Gus Fring (Giancarlo Esposito) e l’avvocato criminale da late-night commercial Saul Goodman (Bob Odenkirk). Ma se tutto il cast dà prova di ottima recitazione (sostenuta da un’altrettanto valida sceneggiatura), Breaking Bad resta sempre e comunque lo show di Walt, che non ha mai avuto nulla e che ora rivendica il suo nuovo ruolo. “You got a problem with that?”

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