Era il 1970 quando al Festival di Cannes vinceva il Gran Prix Speciale della Giuria Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. La celebre kermesse francese, che quell’anno assegnò la Palma d’oro a MASH di Altman, non mancò di omaggiare l’Italia in uno dei suoi periodi più oscuri. Solo sei mesi prima, infatti, Milano era stata squarciata dalla strage di piazza Fontana (dicembre 1969) e il Paese, inesorabilmente, si era avviato verso i bui anni di piombo. La tensione palpabile e il clima da caccia alle streghe non potevano lasciare indifferenti i nostri cineasti. Così, tra provocanti porno infermiere e spaghetti western, si affermò l’esigenza di un cinema civile capace di denunciare e di opporsi ad uno Stato sempre più prepotente e repressivo.

Proprio lungo questa direttrice si colloca la storia, finemente costruita da Petri, di un commissario di polizia (uno straordinario Gian Maria Volontè) che, per sfidare i corrotti meccanismi statali, uccide Augusta Terzi (Florinda Bolkan) la sua sensuale ed eccentrica amante, disseminando la scena del crimine di prove che riconducano a lui. Come un giallo alla rovescia, in cui fin dall’inizio si conosce l’assassino, il film si dipana tra indizi ignorati e dichiarazioni di colpevolezza estorte con la violenza. Vera attrazione della pellicola un magistrale e camaleontico Volontè, capace di cucirsi addosso il personaggio come un vestito di alta sartoria. Perfetto anche, e soprattutto, nei dettagli, il grande protagonista della trilogia del dollaro di Leone è uno di quegli interpreti che oggi rimpiangiamo, uno della vecchia scuola capace di calamitare su di sé l’incisa regia petriniana e di costruire per l’autore romano “maschere politiche” di virtuoso realismo.

Basti pensare al successivo La classe operaia va in paradiso (miglior film, sempre a Cannes, nel 1972), dove il connubio artistico tra Petri e Volontè tocca forse il suo vertice più alto, in una pellicola che si fa carico di rappresentare e contestare una condizione operaia alienante. Opere, queste, da guardare e riguardare con la lente d’ingrandimento, con la coscienza del contesto in cui si inseriscono e con la consapevolezza di trovarsi davanti a grandi capolavori trascurati della storia del cinema.

Scritto da Micol Lorenzato.

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Davide V.Edoardo P.
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