Atteso da oltre 5 anni, il nuovo lavoro degli Strokes risulta finalmente reperibile dopo i continui rimandi -legati a incomprensioni nel gruppo- che ne hanno ripetutamente ritardato la data di uscita.

Il quintetto newyorkese, che ha giocato un ruolo fondamentale nel rilancio della musica indie-e di tutta la coolness annessa- negli anni zero, si ripresenta con la volontà di mostrare diverse sfaccettature del  proprio lavoro complice una maggior coralità di scrittura, laddove in passato il timone di comando era stabilmente tra le  mani del lead-singer Julian Casablancas.

In realtà l’album presenta l’ormai tipico Strokes-sound che riscuoterà il consueto apprezzamento tra gli adepti e farà invece storcere il naso ai tanti (troppi?) detrattori. Il sound risulta decisamente legato all’immaginario musicale  degli 80s ed è grossomodo collocabile tra la loro seconda uscita, Room on fire del 2003, e il più recente disco solista di Casablancas, all’insegna del synth-pop.

Evidenza una “Macchu Picchu” che va addirittura a recuperare nell’attaco gli australiani Men at Work ed il puro pop eighties della leggera e divertente “Two kind of Happiness”. Il singolo “Under cover of darkness” si riallaccia invece ai fasti dei giorni migliori e, benché  oggigiorno possa risultare scontato, il risultato è uno di quei brani difficili da levarsi dalla testa.

Tra alcune cadute di tono come “You’re so right”, che sembra voler seguire -senza riuscirvi- le orme dei Liars, o una “Metabolism” onestamente po’ superflua, l’album ci regala alcuni passaggi piacevolissimi come “Games”, l’allegro incedere pseudo-stonesiano di “Gratisfaction” o ancor più “Life is simple in the moonlight”. La traccia di chiusura è la sola cosa che rimane delle prime sessions di registrazione poi cestinate a favore di una quasi totale riscrittura del lp ed è peraltro tra i picchi dell’album di cui si dibatte. Ballata stonata, mostra la tipica voce di Casablancas trasudare decadenza  e malinconia senza tuttavia scivolare troppo nell’intimismo.

Angles sostanzialmente non aggiunge nulla di nuovo a quanto fatto (o non fatto per i detrattori) in passato; sono lontani i giorni in cui sulla stampa specializzata si sproloquiava di rinascita del rock legata a nomi come White StripesInterpolLibertines e di cui i newyorkesi erano forse i massimi alfieri.

Altre tendenze nasceranno e altri revival si presenteranno. Nel frattempo rispetto a tante nerdissime pseudo sensazioni hypnagogiche io preferisco  tenermi stretta l’orecchiabilità lasciva ed elegante degli Strokes.

Scritto da Fabio Plodari.

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