Il Pilastro, opera prima di Roberto Beani, ripercorre, grazie a una meticolosa gestazione triennale, la storia dell’omonimo quartiere bolognese, nato negli seconda metà degli anni Sessanta per supplire alle esigenze abitative create dall’immigrazione prima dal centro-sud e poi dall’estero. I cosiddetti “pionieri” si insediarono quando ancora mancavano i servizi di base, comprese elettricità e acqua corrente. Ciò portò subito a una rappresentazione mediatica negativa e ghettizzante, esasperata poi dalla cesura insanabile del 4 gennaio 1991: l’omicidio dei tre giovanissimi carabinieri Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini da parte dei killer della Uno Bianca, a loro volta membri delle forze dell’ordine.

La banda commise in tutto 103 crimini, uccidendo 24 persone e ferendone 114; tra le vittime ci furono altri due giovani carabinieri, Cataldo Stasi e Umberto Erriu, nella vicina Castel Maggiore, eppure la nomea rimase appiccicata al quartiere, tanto che la “strage del Pilastro” è tristemente nota anche nel resto d’Italia. Ogni volta che sui quotidiani compare un articolo positivo sul rione, pare necessario sottolineare che si tratta della sua “altra faccia”, come se nessun merito potesse cancellare microcriminalità e stigmatizzazione da simil-Bronx.

Beani si impegna allora a invertire la dicotomia: la vera faccia del Pilastro è fatta di persone attive e combattive che sin dall’inizio si sono impegnate per il bene del quartiere, arrivando a ottenere una modifica al piano regolatore che mantenesse gli spazi verdi e la costruzione di plessi scolastici a tempo pieno per venire incontro alle esigenze dei lavoratori.

Con una sapiente combinazione di interviste e materiali d’archivio (foto di famiglia, perché il Pilastro non era percepito come un soggetto da immortalare), istruttiva ma mai didascalica, conosciamo così alcuni dei primi abitanti del quartiere (che ora ne conta circa settemila); scopriamo che, mentre si costruivano le torri e l’insolito edificio allungato e ricurvo noto come “il Virgolone”, la gente creava da sé un complesso di orti urbani che ora è il più grande d’Europa.

Ma a colpire maggiormente sono la proattività, il senso civico e l’ideale del buon vicinato, messi in atto sin da subito: dalle tavolate improvvisate all’aperto, dove ognuno portava quel che aveva preparato, alle assemblee organizzate “suonando le tastiere” sui citofoni, il mezzo più rapido per avvertire tutti, fino alla prima televisione di condominio, usata per presentare i nuovi inquilini, condividere ricette e notizie e in generale costruire una rete preziosa.

Dopo la strage andò persa molta di questa convivialità, eppure tramite lo sguardo di Beani, le riprese a volo d’uccello che mostrano il successo dell’impegno dei pionieri, la visita alla cupola detta Dom (gestita dalla compagnia teatrale LAMINARIE, ideatrice del documentario, e guidata dall’attivissima Bruna Gambarelli), ma soprattutto le parole dei residenti, sentiamo forte e chiaro che il cuore pulsante del quartiere non ha intenzione di smettere di lottare.

Il film è stato realizzato dalla casa di produzione cinematografica LABFILM, con il contributo della Regione Emilia Romagna Film Commission e in collaborazione con Fondazione Cineteca di Bologna. La pellicola è stata presentata in anteprima mondiale al Biografilm Festival 2025 e i posti per la prima proiezione sono andati subito esauriti; lo stesso destino è toccato alla seconda proiezione organizzata sul momento. Segno di speranza, di desiderio di andare oltre le apparenze, godendosi nel frattempo un documentario davvero ben realizzato.

Alice C.
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