Venezia 68° – Killer Joe: la recensione
È stato presentato ieri sera, in Concorso a Venezia 68°, Killer Joe, il nuovo film di William Friedkin.
Il giovane spacciatore Chris, indebitatosi con un boss della malavita, escogita con il padre e la compagna di quest’ultimo un piano diabolico per salvarsi la pelle e diventare ricchi: uccidere la madre alcolizzata, e intascare i soldi dell’assicurazione, la cui beneficiaria è la sorella minore, con disturbi psichici, Dottie. Per questo si rivolgono al miglior sicario sulla piazza, il poliziotto Joe, il quale richiede un pagamento anticipato…
A cinque anni dall’horror psicologico Bug, il maestro della New Hollywood William Friedkin torna a percorrere il terreno del genere a lui più congeniale, il noir, girando un film incredibilmente violento e nichilista, ambientato nella provincia texana più sudicia e degradata.
Adattando l’omonimo dramma teatrale di Tracy Letts, il settantacinquenne cineasta porta alle estreme conseguenze le tematiche di Fargo, Non è un Paese per vecchi e Onora il padre e la madre, e demolisce e ridicolizza la più sacra delle istituzioni della società statunitense, la famiglia, attraverso il ritratto di un nucleo di rednecks criminali, facili all’inganno e totalmente privi di morale. In questo contesto, il poliziotto assassino rappresenta una sorta di simulacro divino, o meglio demoniaco, a cui i repellenti protagonisti vendono l’anima e la dignità; ma anche la satira di un altro mito dell’America reazionaria, il pistolero in divisa dall’omicidio facile. Un’immagine, questa, già messa in discussione dal regista nel suo capolavoro Vivere e morire a Los Angeles.
Nel delineare questo ripugnante microcosmo di perdenti, il cast si presta al gioco con una recitazione molto sopra le righe, in sintonia con il copione: accanto all’arruffato Emile Hirsch, nel consueto ruolo del giovane disadattato, a un massiccio Thomas Haden Church, alla matura dark lady Gina Gershon, indimenticabile lesbica di Bound – Torbido inganno, e alla giovanissima Juno Temple, troneggia un sorprendente Matthew McConaughey, che presta allo sbirro assassino un volto pulito e rassicurante, infondendogli un fascino sinistro.
Scandito da una narrazione incalzante, il film può contare su una buona caratterizzazione psicologica e su ottimi dialoghi, ricchi di umorismo sarcastico e crudele. Ma il suo vero punto forte è la regia: al pari di un Peckinpah o di un Milius, Friedkin gira come una furia, regalando allo spettatore sequenze dal fortissimo impatto visivo, in alcuni casi al limite della sopportabilità: su tutte quella, destinata a passare alla storia, della coscia di pollo. Peccato che, nell’ultima parte, nella folle escalation di sangue e delitti, il gioco sembri sfuggirgli di mano, e che il finale lasci perplessi, risultando un po’ eccessivo.
Accolto in Sala Grande da una lunga ovazione, Killer Joe è un salutare pugno nello stomaco a uno spettatore ormai assuefatto a una selezione di film in gara piuttosto narcotizzante.
Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.
Alice C. | Antonio M. | Barbara N. | Chiara C. | Giacomo B. | Giusy P. | Leonardo L. | ||
7 | 7 | 7 | 9 | 7 | 8 | 7 |