Con Birdman, film d’apertura di Venezia 71, il regista Alejandro González Iñárritu offre il destro a Michael Keaton per una delle sue migliori prove recitative, con il ritratto grottesco e, in gran parte, autobiografico di Riggan Thomson, un attore in declino divenuto famoso vent’anni prima per aver interpretato un supereroe, alle prese con l’allestimento di un dramma teatrale tratto da Raymond Carver che dovrebbe rilanciarne la carriera a Broadway.

Ossessionato dal personaggio che lo aveva reso famoso – l’uomo volante Birdman – fino al punto di identificarsi con lui, il protagonista vive questa seconda occasione in preda a un delirio schizofrenico che il cineasta messicano porta sullo schermo con stile decisamente virtuosistico, girando l’intero film in un unico piano sequenza, e immedesimandosi così nella sua mente disturbata. Fra serrati confronti verbali di solido impianto teatrale (nei quali prende corpo lo scontro di personalità fra Thomson e un primattore arrogante interpretato da un altrettanto istrionico Edward Norton) e surreali divagazioni che citano lo stile pirotecnico dei cinecomics Marvel e DC, attore e personaggio, realtà e palcoscenico si fondono a più livelli in una messinscena talvolta spassosa, talvolta drammatica, a tratti geniale e molto spesso sopra le righe.

Per bocca dei suoi personaggi, Iñárritu esprime inoltre interessanti spunti di satira nei confronti della Hollywood odierna, in cui gli attori di maggiore fama sono spesso impegnati in film di supereroi, e sul peso sempre più rilevante dei social network per misurare la propria visibilità (nel bene e nel male, l’importante è che si parli di te, sembra essere la morale comune). Altrettanto efficace la frecciata a certa critica teatrale (qui impersonata da un’odiosissima Lindsay Duncan), capace di spostare giudizi e stroncare carriere basandosi soltanto su etichette e antipatie personali. Lo stesso finale a effetto, che segue un sottofinale altrettanto scioccante, è in linea con il resto del film: o lo si ama o lo si odia, senza mezzi termini.

Ben assecondato da comprimari del calibro di Naomi Watts (l’attrice insoddisfatta), Zach Galifianakis (l’agente entusiasta) e una straordinaria Emma Stone (la figlia ex drogata di Riggan), Michael Keaton, in un ruolo che ne conferma la grandezza omaggiando i fasti dei due Batman girati fra gli anni ’80 e i ’90 con Tim Burton, rimane comunque il cuore pulsante di un film complesso e ambizioso, sprezzante dello stato del cinema contemporaneo quanto di ogni senso della misura.

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Antonio M.Chiara C.Edoardo P.Eugenio D.Giacomo B.Giusy P.Michele B.Sara M.Sara S.
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