La guerre est déclarée, candidato della Francia come miglior Film Straniero agli Oscar 2012, ha scosso la platea del Torino Film Festival con la sua storia d’amore, vita, morte e ancora vita.

La guerra che i due protagonisti Roméo e Juliette dichiarano è quella contro il gravissimo tumore al cervello che ha colpito il figlio Adam, di 18 mesi. Non c’è melodramma nel racconto coinvolgente e commovente della regista Valérie Donzelli, ma la cronaca di una reazione vitale ed energica ad un ostacolo che sembra insormontabile. E anzi quei due nomi dalle reminescenze tragiche sembrano più che altro una dichiarazione programmatica sull’imprescindibilità dell’ironia per affrontare l’amore, fresco, travolgente, vero, che coglie Roméo e Juliette.

Nel loro terribile percorso, nella progressione verso la scoperta, la speranza disattesa, le difficoltà pratiche e psicologiche della malattia, si avvinghiano l’un l’altra e si aggrappano a quel 10% di possibilità di guarigione, con i genitori e gli amici a fare da rete di sicurezza, famiglia allargata e fuori dal comune raccontata senza ombra di intellettualismi.

Il film ci fa vedere quello che raramente viene mostrato nel racconto della malattia: se il diretto interessato è così piccolo e indifeso, il riflesso della malattia non può che sovrastare i genitori. La sfida è non soccombere alla disperazione: “Perché a noi?” – “Perché ce la possiamo fare”, risponde Juliette.

E poi le trafile ospedaliere, l’angoscia e l’ansia che si diffondono di bocca in orecchio tra amici e nonni attraverso il filo del telefono, il bisogno insopprimibile di ridere, di rendersi per un attimo incoscienti. Una corsa contro il tempo, il mondo che si fa sempre più distante rispetto all’universo in guerra di Roméo e Juliette, dove il piccolo Adam è solo in prima linea.

Si mescolano caoticamente stilemi ricorrenti nel cinema francese, come l’improvviso affiorare di una canzone d’amore cantata a due voci, o iridi e stacchi improvvisi che accelerano metafore, luoghi e tempi; su tutto la messinscena abitata dai corpi incredibili di Valérie Donzelli e Jérémie Elkaïm, che danno vita una volta tanto ad una coppia paritaria, assolutamente credibile nella complicità e nel dolore, senza ruoli predefiniti, nella totale condivisione di gioia e sofferenza -sia nel pieno dell’amore, sia quando questo si affievolisce. Resta la vittoria delle vittorie, celebrata sullo sfondo di quel mare che ricorre in tanti finali e con tanti significati diversi, mai come in questo caso simbolo delle possibilità infinite della vita di un bambino e due adulti cui è stato chiesto così tanto, così presto.

Chissà se è meglio sapere o non sapere, all’atto della visione, che protagonisti del film, della storia nella realtà e autori del film stesso, coincidono: Valérie e Jérémie ci hanno raccontato di loro, del loro amore e di loro figlio in primissima persona. Un atto di coraggio straordinario, forse difficile da condividere ma profondamente chiaro e lucido nella compiutezza impeccabile del film.

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Giacomo B. Giusy P. Micol L.
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Scritto da Chiara Checcaglini.