Bella addormentata, presentato in Concorso a Venezia 69, è il film con cui Marco Bellocchio torna in gara al Lido, dopo aver sfiorato il Leone d’Oro, otto anni fa, con Buongiorno, notte. Anche in questo caso, il regista si avvale di un cast di nomi celebri, fra i quali spiccano Toni Servillo e Alba Rohrwacher.

La vicenda è ambientata durante gli ultimi giorni di vita di Eluana Englaro, le cui vicissitudini fungono da cornice per gli eventi narrati. Sullo sfondo del tragico episodio, si sviluppano storie e personaggi più o meno legati al tema del fine vita.

Autore rigoroso e anarcoide, rappresentante per eccellenza di un cinema a priori “contro”, Bellocchio sorprende tutti e gira un’opera dai toni moderati, affrontando temi politicamente scottanti con uno sguardo fondamentalmente laico, ma rispettoso di tutti i punti di vista. Come dichiarato dallo stesso regista, il tema principale del film è quello del risveglio. Di coscienza, innanzitutto. Quel risveglio negato ai malati in stato vegetativo, ma concesso ai personaggi della vicenda, dal senatore in crisi, alla figlia imbevuta di fanatismo religioso, che scopre l’amore, fino alla ragazza drogata, che trova un aiuto sincero e disinteressato da parte del medico dalle brutte scarpe.

I soli a restare immuni da questo risveglio, sembra suggerire Bellocchio, sono i politici, che cercano di sfruttare l’estremismo pro-vita declamando slogan vuoti e semplicistici, ma pensando soprattutto al proprio tornaconto. Un punto di vista che si esprime attraverso l’utilizzo di filmati di repertorio in cui esponenti del governo danno prova di retorica spicciola, e che trova conferma nel dialogo, all’interno di una sauna, fra Servillo e un cinico psichiatra (pungente caratterizzazione di Roberto Herlitzka).

Nulla di più lontano, dunque, da un film a tesi come quelli cui ci aveva abituato il regista piacentino; si tratta, invece, di un’opera sull’amore, inno alla reciproca comprensione e alla sensibilità individuale, che travalica religioni e ideologie e riguarda la sfera intima dell’animo umano. Una soluzione che, pur non priva di spunti di ironia (soprattutto nella scelta dei nomi dei personaggi, e in alcuni sprazzi grotteschi tipici dell’autore), invita al dialogo, al dubbio, e non reagisce al fanatismo con la consueta ferocia; perdendo così, in parte, di efficacia. Chi ha amato il Bellocchio delle origini, potrebbe rimanere deluso dal cambio di rotta qui dimostrato; eppure le polemiche non sono mancate.

Sul piano cinematografico, il film si mantiene su livelli disomogenei, sviluppandosi su una struttura corale altmaniana, all’interno della quale, però, non tutti i personaggi godono di una caratterizzazione convincente: piuttosto riuscito il segmento Servillo-Rohrwacher, in cui i due attori, nel ruolo di padre e figlia, danno dimostrazione di una buona alchimia; commovente, ma un po’ ricattatorio, quello del medico e della tossicodipendente (interpretati dal figlio del regista, Pier Giorgio Bellocchio, e da una Maya Sansa in piena forma); abbastanza insopportabile quello dell’aspirante attore – sicuramente il più legato, nello stile e nei concetti, alle precedenti opere di Bellocchio – nonostante gli istrionismi di una teatrale Isabelle Huppert, che si cala anima e corpo nel personaggio della divina madre, pronta ad allestire per la figlia maggiore una dipartita degna di un palcoscenico.

Incorniciata dalla pregevole fotografia di Daniele Ciprì, che torna a lavorare con il regista tre anni dopo Vincere!, Bella addormentata è un’opera sincera ma poco unitaria, con la quale Bellocchio, per dare voce a tutti i punti di vista, sacrifica un po’ la sua forza autoriale.

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Edoardo P.Giacomo B.Leonardo L.
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