Vi interessa la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ma non potete essere al Lido? Cinema Errante vi propone i Diari da Venezia 75, con i film visti in anteprima per voi.

suspiria venezia 75

Suspiria di Luca Guadagnino

Attesissimo e temuto allo stesso tempo, il remake di Suspiria diretto da Luca Guadagnino e presentato in concorso a Venezia 75 ha diviso il Lido fra entusiasti e scettici proprio come preannunciavano le aspettative. Messe da parte le annose questioni sull’opportunità o meno di rifare un’opera che ha segnato la storia dell’horror e sulla presunta lesa maestà di Dario Argento, l’approccio di Guadagnino non ha convinto chi scrive proprio per la sua sospetta smania di affrancarsi dall’originale allo scopo di affermare a tutti i costi la propria personalità registica. Lasciandone invariati solo l’incipit e il soggetto, Guadagnino ne stravolge lo svolgimento e le caratterizzazioni, infarcendo la storia fino all’eccesso di sottotrame e personaggi davvero poco convincenti, che comunque non giustificano la durata spropositata di oltre due ore e mezza, di cui l’ultima mezz’ora decisamente indigeribile per scelte visive e narrative oltre la soglia del ridicolo. Non convince lo spostamento dell’ambientazione da una Friburgo dark e suggestiva alla grigia Berlino degli anni ’70, così come fuori luogo appare il sottotesto politico sul terrorismo estremista e sui postumi del nazismo nella società tedesca dell’epoca, che indebolisce anziché rafforzare la presenza di elementi soprannaturali. Convince ancor meno la scelta di rivelare fin dall’inizio la presenza delle streghe nell’accademia di danza in cui si svolge la vicenda, che elimina quel senso di mistero che rendeva così intrigante il film di Argento: là dove quest’ultimo suggeriva, provocando vera inquietudine, il remake palesa tutto in un continuo spiegone banalizzante e a tratti noioso. Lo stesso vale per gli omicidi, ripugnanti e grotteschi (passabile il primo, al limite del torture porn), ma mai davvero agghiaccianti. E in questo caso Guadagnino stecca anche nel suo terreno d’elezione, la descrizione dei rapporti intimi fra i personaggi: il rapporto fra le allieve resta appena abbozzato, mentre la tensione omoerotica fra Susan e Madame Blanc, che aveva un buon potenziale, si sviluppa in maniera troppo programmatica; e se la seconda, pur non del tutto coerente, rimane il personaggio più affascinante del film (grazie alla sempre impeccabile Tilda Swinton, che trasforma in oro tutto quello che tocca), la prima soffre di una caratterizzazione fallimentare, anche per colpa di un’interprete (Dakota Johnson) di rara inespressività. (Davide Vivaldi)

Roma Venezia 75

Roma di Alfonso Cuarón

Alfonso Cuarón continua a inanellare successi veneziani con Roma, titolo che si riferisce al quartiere omonimo di Città del Messico, ma ha ha il respiro e la vastità di un impero. In una bilanciata fusione di toni epici ed elegiaci, di quotidianità e storia, il regista ricostruisce un universo profondamente femminile che rende omaggio alle donne che lo hanno cresciuto. La narrazione segue i personaggi, più che gli eventi: il fulcro gravitazionale è Cleo (Yalitzia Aparicio), domestica di una famiglia dell’alta borghesia, ma in parallelo la pellicola tratteggia anche la crisi della famiglia stessa e un’immagine della città che alterna poesia e violenza. A guidare il film è la dimensione della memoria, che spazia dalla ricostruzione fedele del quartiere e della casa d’infanzia del regista (con l’arredamento in buona parte originale) a un uso magistrale delle panoramiche e dei piani sequenza (evidenziati dal formato digitale in 65mm) alternati a primi piani e grandangoli. La casa si fa immensa, ingigantendo anche le figure che contiene, in particolare Cleo e la matrona Sofia (Mariana De Tavira): di fronte allo scarto tra un mondo ancora marcatamente patriarcale e la fuga dalle responsabilità dei personaggi maschili, le due donne sanno trovare una forza immensa a cui il Cuarón adulto offre un tributo personale e toccante. Il bianco e nero non offusca i ricordi, ma anzi ne sottolinea la potenza e il valore simbolico: memorabile la sequenza iniziale del lavaggio del pavimento dell’ingresso, costantemente minato dagli escrementi del cane di casa. Fondamentale anche la dimensione sonora: il Dolby esalta le risate dei bambini e la lingua indigena mixteca parlata dai personaggi, conducendo subito lo spettatore nell’intimità quotidiana della casa, ma anche i rumori assordanti della città e della storia (come il massacro di Corpus Christi), utilizzati come cassa di risonanza del microcosmo familiare. Roma, fra i candidati più papabili al Leone d’Oro, potrebbe essere il primo film Netflix a conquistare l’ambito premio, segnando magari l’inizio di una maggiore collaborazione con le sale cinematografiche in virtù del valore aggiunto del grande schermo per la fruizione di un film così ampio in ogni senso possibile. (Alice Casarini)

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