Prodotto da J.J. Abrams e distribuito direttamente da Netflix senza passaggio in sala, The Cloverfield Paradox di Julius Onah è il terzo film del franchise Cloverfield. La saga nasce nell’ormai lontanissimo 2008 con un film found footage che raccontava la distruzione di New York. Il vero protagonista era un mega mostro lovecraftiano che non si riusciva mai a vedere bene perché i personaggi incaricati di reggere la camera erano giustamente troppo impegnati a correre.

the cloverfield paradox

Come funziona il franchise Cloverfield

Se state ancora aspettando un vero e proprio Cloverfield 2 lasciate perdere, non è in programma. Abrams ha spiegato che dopo l’uscita di Pacific Rim e del reboot di Godzilla ha deciso di non mettersi a lavorare anche lui a un kaijū movie. I nuovi film del suo franchise, 10 Cloverfield Lane (2016) e The Cloverfield Paradox, non possono essere considerati davvero dei sequel: sarebbe più corretto definirli spin-off. L’aspetto più interessante e perverso da esaminare è come sono stati costruiti questi film rispetto all’universo narrativo di cui sono entrati a far parte.

In entrambi i casi, sono state scelte due sceneggiature che non c’entravano nulla con Cloverfield e sono state modificate per rientrare nel franchise. Nel caso di 10 Cloverfield Lane il risultato è buono perché è un ottimo film di tensione, a prescindere dal vago collegamento col mostro. Lo script è stato rimaneggiato da Damien Chazelle che, a quanto pare, lo ha addirittura migliorato. Rimane un film che è stato buttato in quell’universo un po’ per caso, tant’è che gli attori hanno scoperto di aver recitato in un film Cloverfield qualche giorno prima che uscisse il trailer.

Anche The Cloverfield Paradox è stato inserito nel franchise a posteriori, prendendo uno script preesistente di Oren Uziel intitolato The God Particle e riadattandolo per assimilarlo all’universo narrativo. La versione pre-Cloverfield dello script (la cui recensione è online dal 2012) è una storia mistery-thriller ambientata su una stazione spaziale, in cui non appaiono mostri lovecraftiani. E infatti lo stesso Abrams afferma che fino a riprese iniziate non si era ancora trovato il modo per far entrare il film nel mondo narrativo di Cloverfield.

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The Cloverfield Paradox, space horror mal riuscito

Il film diretto da Julius Onah è nella zona dello space horror, raccontando una storia misteriosa che ha luogo in una stazione spaziale. Purtroppo esistono già troppi film thriller-horror brutti ambientati sulle astronavi, mentre scarseggiano i classici immortali (Alien) e i film di culto (Event Horizon). Quasi tutti gli altri sono delle variazioni sul tema, nella maggior parte dei casi B movie senza particolare dignità (viene in mente Pandorum). The Cloverfield Paradox va a inserirsi a testa alta nella schiera degli epigoni mal riusciti.

SPOILER ALERT

La necessità di trasformarlo in una storia Cloverfield crea una confusione irrisolvibile nella sceneggiatura, che sembra andare in varie direzioni senza sceglierne alcuna, con la stessa vaghezza che caratterizza l’universo narrativo in cui è stata trascinata. Ci sono alcuni momenti iconici, legati al braccio di Chris O’Dowd, personaggio più riuscito del film (il braccio, non O’Dowd, il che è tutto dire). In quelle scene si intravede la possibilità di un film migliore, che potrebbe farsi conturbante esplorando le sue stesse affermazioni (la logica non funziona più, abbiamo varcato una soglia misteriosa); ma poi la storia cambia di nuovo registro. The Cloverfield Paradox contiene gli spunti per 3 film diversi ma perde la propria identità non scegliendone mai veramente nessuno.

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Si avvertono le tracce del mistery thriller scritto in origine da Uziel, di cui sono rimaste solo alcune frattaglie lungo la narrazione, che rendono la vicenda ancora più caotica. La sottotrama ambientata sulla Terra sembra avere l’unica funzione di collegare il film ai mostri del franchise – inserita dopo che il film è stato sottoposto alle visioni di prova del pubblico, dice Abrams. Il film manca di logica interna, spesso i movimenti dei personaggi sono ingenui o insensati (perché gli astronauti si fidano di più della bionda apparsa dal nulla che del loro compagno ingiustamente accusato?).

Non c’è nulla di male di per sé nel riscrivere storie per adattarle a un sequel, non è la prima volta che accade e nel caso Cloverfield questa pratica ha dato rilievo a un film meritevole come 10 Cloverfield Lane. Quello che lascia perplessi è il modo in cui Abrams ingloba storie indipendenti, forzando i limiti del proprio universo narrativo e rendendolo così vago da poter contenere qualsiasi storia. Quello di Cloverfield sembra più che altro un logo, un adesivo da appiccicare ai poster di film già fatti. La pratica rimarrebbe dubbia, ma sarebbe meno problematica se i film fossero tutti belli. Nel caso di The Cloverfield Paradox non è andata così.

Sara M.Davide V.
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